domenica 17 febbraio 2019

Anch'io alcuni giorni fa ho avuto cinquant'anni.
Lo ricordo bene come fosse domani.
D'altra parte ne ho avuti anche dodici, una volta.
A dirla tutta ne ho avuti parecchi, di anni.
Alcuni anche doppi.
Altri, invece, talmente sfumati che non hanno lasciato nemmeno il segno.
Forse erano tracciati col carboncino.
Se non lo fissi, il carboncino vola via e ne resta così poco sul foglio che a fatica distingui il disegno.
Se mi guardo indietro, gli anni più belli sono stati quelli a matita colorata.
Il mio primo astuccio vero fu uno Stabilo, 24 colori.
C'era anche il verde acqua, mi ricordo.
Poi ci sono stati anni ad olio, ad acrilico e anni a pennino e china.
Belli. Brutti. Indefiniti.
Tanti.
Un bel giorno, non mi ricordo se di pomeriggio o di martedì, stanca di averli attorno a far confusione, mi son decisa e li ho acchiappati tutti con la retina da farfalle, poi li ho chiusi dentro uno scatolone.
Uno di quelli che ti arrivano a Natale, col panettone e i torroncini assortiti.
Uno scatolone di finto velluto blu che sposto una volta a destra sotto alla finestra, un'altra sotto la scrivania, o nell'angolo assieme ai libri.
Non riesco a trovargli il posto giusto e all'alba, quando sono ancora tra il qui e il là, me lo ritrovo sempre tra i piedi.
Lo volevo portar giù in cantina, ma sono così impegnata a fare e disfare pensieri che la sera mi arriva già alle dieci del mattino, e alla fine mi accorgo che lui è ancora lì, a far capolino da dietro la poltrona.
Anche adesso lo vedo, ma faccio finta di niente.
Mi guarda e ogni tanto scuote tutti gli anni che contiene.
Mi fa i dispetti: giusto ieri li avevo ordinati in belle pile a torre di Pisa, dal più al meno, dal blu al rosso, e dal verde al giallo.
Tanta fatica per niente, adesso saranno là dentro tutti mescolati a far arcobaleni di ricordi.
Stamattina m'era venuta voglia di riguardarne uno, il nono compleanno, ché non ricordavo più il colore di quel giorno bello.
A volte mi capita di non riuscire ad afferrare i suoni e gli odori degli anni ammucchiati e allora mi prende un senso di perdita così grande che devo cercar rimedio in una sicurezza a portata di mano. Ma non sempre funziona.
E oggi non riesco ad afferrare la sfumatura che colorò quella giornata di un'estate passata. Era smeraldina o color del tempo? Chissà.
Proverò a cercarla nella scatola blu di velluto finto, ma so già che non la troverò, ribaltata sotto i mesi e i giorni ammucchiati alla rinfusa.
Ci sono persone che sistemano gli anni in fila indiana, lo so.
I trenta prima dei quarantasei e dopo i ventitré.
Quelli belli in prima fila e quelli tristi dietro il gruppo.
Un archivio numerato che incasella tutte le ore al posto giusto, che permette di sapere in qualunque momento l'età giusta da indossare.
Io, invece, ho un tempo tutto mescolato. Un miscuglio marmorizzato di mille colori uguale a quello che ottengo quando alla fine di un quadro raccolgo i colori rimasti sulla tavolozza e li impasto per preparare il fondo della prossima tela.
In fin dei conti ecco a cosa serve aver tanti anni, a far un bel fondo spatolato per il quadro meraviglioso che dipingeremo domani. O lunedì.
O fra cent'anni.

Francesca Ferrari (Giarina)

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