domenica 20 settembre 2015

Qualcuno tappa male un tombino e capita che qualche altro distratto ci inciampi.
Talvolta l'inciampo passa quasi inosservato e si prosegue dritti, altre volte ti tocca riemergere dal paese delle meraviglie in cui stavi cazzeggiando mentre camminavi a naso per aria lungo sentieri che pensavi immutabili.
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Esterno notte, area residenziale a sud di Milano, piovechediolamanda.
Rientrando a casa scorgo la figura di un uomo vestito molto dignitosamente.
Sta fermo. In piedi, sul marciapiede sotto la pioggia torrenziale, la testa china, sembra che aspetti qualcosa.
A quell'ora, in questo specifico triangolo di periferia, se rimani piantato sotto l'acqua devi essere uno che non ha paura di niente oppure devi avere un problema molto, molto serio oppure entrambe le cose. Rallento più per curiosità che per altro e presto mi accorgo che quell'uomo non è solo. Piano piano metto a fuoco: ce ne sono altri più o meno come lui nelle vicinanze: qualcuno è seduto sul marciapiede, qualcuno è seduto sulle panchine del parchetto lì vicino, un altro paio di privilegiati sono in piedi in una delle poche cabine telefoniche rimaste: si riparano dall'acqua. Ci sono anche una donna e al suo fianco un uomo che la copre dalla pioggia con una giacca di stoffa già fradicia.
Non fanno nulla. Sembrano aspettare.
Non parlano tra di loro. Fa freddo, piove sempre di più e vestono come se fosse estate in riviera.
Non so perché ma ho già accostato e sono giù dalla macchina. Normalmente avrei qualche timore ma in queste zone ci sono cresciuto da ragazzo e ho come un senso di sicurezza territoriale. Mi guardo intorno e decido di dirigermi verso l'unica struttura illuminata. Fuori dal cancello ci sono due pattuglie di carabinieri più un brulicare di persone, tante persone, decine e decine di persone che prima passando non avevo nemmeno notato.
Cammino stranito attraverso una ordinatissima doppia fila di uomini e donne bagnati che sembrano non notarmi, rimangono chiusi in un silenzio che quasi stordisce.
I carabinieri sono sfatti dal sonno e dalla fatica, prendono le generalità di persone che potrebbero essere i loro genitori, i loro figli. Hanno la divisa sgualcita e fradicia, la faccia di chi deve e vuole fare quello che sta facendo ma vorrebbe che non fosse necessario farlo, non in quel modo.
Non urla nessuno, come se urlare possa rompere chissà quale equilibrio, svegliare chissà quale demone.
Vedo italiani e stranieri distribuire beni di prima necessità ad altri italiani e stranieri. Non c'è distinzione di abbigliamento, non capisci subito chi è che aiuta chi. E' un cazzo di casino ma non del tutto un inferno perché manca il frastuono. Ciò che colpisce più di tutto è proprio il silenzio in cui tutto si svolge: ho sempre pensato che l'inferno fosse molto rumoroso ma mi sbagliavo. Oppure non è davvero questo l'inferno.
Mi avvicino a quello che sembra essere un volontario che d'istinto mi passa subito un piatto, poi un altro e poi un altro, è una macchina di piatti, poi alza lo sguardo e realizza che non sono uno di loro così si ferma, dice che si chiama Maurizio e che io non posso stare lì, devo essere assicurato, mentre lo dice è dispiaciuto e mi racconta che lui è il capo e mi racconta chi sono tutte queste persone.
Parla e impiatta, impiatta e spiega che i più sono singoli, uomini e donne e poi famiglie che nel bel mezzo di una notte qualunque sono stati costretti a decidere in pochi secondi cosa portare via dalle loro case. Chi ha esitato, magari per portarsi via la fotografia di mamma, è stato sorpreso dalle milizie e giustiziato sul posto. E' stato in quei concitati momenti che qualcuno di loro ha perso i genitori, altri i figli in una fuga che non ha nulla di umano, che non dovrebbe esistere su questa Terra.
Maurizio all'improvviso decide che per una volta posso fare passare una vasca di aringhe dalla cucina al banco di distribuzione e così mi coinvolge.
(e in quel delirio penso che ho sempre eretto una sorta di barriera psicologica che mi ha mantenuto empaticamente distante da situzioni del genere. Ma lì accade tutto troppo in fretta, non hai il tempo per il giudizio e del tuo giudizio sinceramente non gliene frega niente a nessuno perché col tuo inutile pregiudizio non ci si mangia, non ci si copre, non ci si lava, non ci si asciuga, non ci si ripara dalla pioggia e soprattutto non si risolve nessun problema concreto)
Chiedo a Maurizio che cosa servirebbe: serve tutto, risponde asciutto. Io gli chiedo che cosa e lui mi dice pensa a una cosa qualunque, io tentenno e lui: serve.
Spazzolini da denti? Servono. Sapone? Serve. Vestiti? Servono. Scarpe? Servono. Coperte? Servono. Cibo? Serve. Mi spiega che soprattutto serve cibo, disperatamente: deperibile, in scatola, verde, giallo, tutto.
Mi vede pensieroso e si fa serio. Forse tu non hai capito, mi dice, questi non hanno più nulla, questi stanno correndo da giorni, alcuni da settimane, passano affamati e proseguono, hanno la paura che gli morde il culo, ormai gli rimane poco altro che correre. Ci penso e questo sottintende che una volta, pochi giorni fa, avevano una vita pure loro.
E infatti serve anche una vita, magari la tua, mi dice Maurizio. Qui capisco che non è una domanda la sua: vieni qui, anche solo poche ore, mi dice. Sono come noi. Potremmo essere noi. Per noi lo faresti? C'è bisogno, siamo tutti simili tra noi, e lo dice convinto.
(e intanto penso che i sentimenti che si respirano lì dentro sono di paura, di gratitudine, di dolore per quello o per quelli che si sono perduti forse per sempre. Sono sentimenti di consapevolezza che quella è solo una tappa e che il domani li porterà in un'altro universo. Sono sentimenti di dignità. Ecco sì, si respira forte la dignità di essere umani con un nome, un cognome, una storia, delle radici, e la memoria di ciò che si è. Svestiti di tutto ma non di ciò che rende la vita degna di essere vissuta).
Gli chiedo se ci sono modalità per portare materiale oltre che presenza.
Mi guarda strano: vieni qui e svuoti il bagagliaio sul vialetto, i volontari distribuiscono in tempo reale.
Poi mi caccia perché lì non posso stare se non sono assicurato, ribadisce. Ma con 10 euro di assicurazione posso esserlo, devo andare in via Moscova a Milano, scrive velocemente un numero su un foglio che mi porge e poi mi spinge con fermezza ad andarmene: qui o agisci o sei d'impiccio.
Mentre esco guardo quei volti disperati. La maggior parte di loro è di passaggio, diretta in un altrove che non ha certo scelto su Booking.com
Mi chiedo che cosa troveranno e se troveranno il modo di usare la forza che hanno per costruire qualcosa di nuovo, qualcosa che nemmeno noi possiamo ancora immaginare.
(e penso che qui ci si danna per comprare roba che ti riempie davvero di niente, con la quale rischiamo di travestire il nulla che abbiamo paura di essere agli occhi degli altri e di noi stessi e penso che se in soli cinque secondi dovessimo scegliere cosa portare con noi per lasciare per sempre la nostra terra faremmo davvero fatica a pensare che cosa e quello farebbe la differenza tra vivere e sopravvivere).

Rillo (in questo caso su facebook)