Avrei voluto scrivere del mio cuore che ora fatica a battere,
dei troppi farmaci con cui il mio fegato adesso cerca di combattere.
Avrei voluto scrivere di questa vita insonne, di questi sogni feriti, di questi baci traditi.
Ma la testa mi fa male e gli occhi mi bruciano.
Sono una bambina, poi guerriera, sono una donna, poi bambina.
Avrei voluto dire, avrei voluto fare, avrei voluto amare...
Ma la testa mi fa male e gli occhi mi bruciano.
Avrei voluto scrivere dei miei sogni che ora faticano ad arrivare,
dei troppi volti con cui il mio corpo cerca di scappare.
Avrei voluto scrivere di questa vita esaltata, di queste ferite baciate, di questi tradimenti sognati.
Ma la testa mi fa male e gli occhi mi bruciano.
Sono un fantasma, poi pazzia, sono una donna, poi basta.
Avrei voluto vincere, avrei voluto volare, avrei voluto vivere...
Ma la testa mi fa male e gli occhi mi bruciano.
Avrei voluto scrivere e invece come al solito farnetico un po'.
wild (lifeart)
lunedì 27 luglio 2015
Miniguida alla ragazza friulana
1. Non darle della milanese. Sì, ok, NESSUNO sa come suoni il friulano, a parte i friulani. Mandi Mandi è stato inghiottito dalle nebbie del tempo, Pizzul non l'avete mai sgamato, Bearzot non ve lo ricordate, Zoff parla poco e non badate a me, io ormai sono perduta. Però se volete vi faccio un Souncloud di mia sorella. Quello è accento friulano.
2. Si dice Friùli, non Frìuli. Non è difficile. Ripeti con me, Friùli, Friùli, Friùli. Ok, mi arrendo. Sono quasi dodici anni che provo a insegnarlo al romano con cui divido casa e ancora si sbaglia.
3. Non fare lo spandone. "Spandone" è lo sbruffone friulano, almeno dalle mie parti. Se il cazzaro romano alla fine gode di una certa simpatia perché anima e rallegra la serata, lo spandone viene guardato con severo disprezzo dalla friulana, che nel DNA ha l'efficienza di gente che si è alzata per generazioni alle cinque di mattina per portare le vacche sul Rest e non ha tempo per le tue scemenze.
4. Sì, beviamo la grappa e no, non ci fa niente.
5. Le triestine non sono friulane, né linguisticamente né culturalmente. I triestini hanno un passato cosmopolita, un dialetto pieno di termini sloveni ed ebraici, hanno dato da bere a Joyce, Svevo e Saba, hanno il mare e trovano ogni scusa e modo per andarci. Si offendono le triestine e si offendono pure le friulane. Non fare confusione.
6. Se non reggi il frico, stai a casa.
7. Il friulano non ha la parola "felicità": puoi essere al massimo contento, ma felice no. Le friulane hanno alle spalle millenni di privazioni, fatica, invasioni, pellagra, migrazioni in altri continenti, morti nelle miniere del Belgio, bambole fatte con le pannocchie e tutta una letteratura della povertà. Il massimo dell'intellettualità espressa dal Friuli è Pasolini, ormai al 70% appropriato dai romani e per il restante 30% citato a sproposito come cantore dei poveri. Quindi le aspettative sono talmente basse che basta pochissimo per andare da zero a cento, anche solo una giornata al mare messa bene.
8. Le friulane sono strutturatissime. Studiano, lavorano, si fanno un mazzo tanto. Non vogliono i tuoi soldi, ma se ne vuoi frequentare una non ti conviene essere pigro: saresti schiacciato sotto il peso della sua quotidiana disapprovazione.
9. C'è un detto locale che più o meno recita: "L'ereditât dal Friûl, panza tetes e cûl". Mediamente mangiamo come camioniste e abbiamo avantreni e retrotreni abbinati (chi più, chi meno). Come sopra: se non reggi il frico, stai a casa.
10. Se ce ne siamo andate dal Friuli è perché cercavamo qualcosa che in Friuli non c'era: lavoro creativo, principalmente, ma anche mare, sole, o più banalmente la felicità che la nostra lingua non contempla. Una volta fuori da lì, non vogliamo più vivere come vivevamo prima. Per cui fai un po' tu. Ma non fare lo spandone.
Giulia Blasi su fb
2. Si dice Friùli, non Frìuli. Non è difficile. Ripeti con me, Friùli, Friùli, Friùli. Ok, mi arrendo. Sono quasi dodici anni che provo a insegnarlo al romano con cui divido casa e ancora si sbaglia.
3. Non fare lo spandone. "Spandone" è lo sbruffone friulano, almeno dalle mie parti. Se il cazzaro romano alla fine gode di una certa simpatia perché anima e rallegra la serata, lo spandone viene guardato con severo disprezzo dalla friulana, che nel DNA ha l'efficienza di gente che si è alzata per generazioni alle cinque di mattina per portare le vacche sul Rest e non ha tempo per le tue scemenze.
4. Sì, beviamo la grappa e no, non ci fa niente.
5. Le triestine non sono friulane, né linguisticamente né culturalmente. I triestini hanno un passato cosmopolita, un dialetto pieno di termini sloveni ed ebraici, hanno dato da bere a Joyce, Svevo e Saba, hanno il mare e trovano ogni scusa e modo per andarci. Si offendono le triestine e si offendono pure le friulane. Non fare confusione.
6. Se non reggi il frico, stai a casa.
7. Il friulano non ha la parola "felicità": puoi essere al massimo contento, ma felice no. Le friulane hanno alle spalle millenni di privazioni, fatica, invasioni, pellagra, migrazioni in altri continenti, morti nelle miniere del Belgio, bambole fatte con le pannocchie e tutta una letteratura della povertà. Il massimo dell'intellettualità espressa dal Friuli è Pasolini, ormai al 70% appropriato dai romani e per il restante 30% citato a sproposito come cantore dei poveri. Quindi le aspettative sono talmente basse che basta pochissimo per andare da zero a cento, anche solo una giornata al mare messa bene.
8. Le friulane sono strutturatissime. Studiano, lavorano, si fanno un mazzo tanto. Non vogliono i tuoi soldi, ma se ne vuoi frequentare una non ti conviene essere pigro: saresti schiacciato sotto il peso della sua quotidiana disapprovazione.
9. C'è un detto locale che più o meno recita: "L'ereditât dal Friûl, panza tetes e cûl". Mediamente mangiamo come camioniste e abbiamo avantreni e retrotreni abbinati (chi più, chi meno). Come sopra: se non reggi il frico, stai a casa.
10. Se ce ne siamo andate dal Friuli è perché cercavamo qualcosa che in Friuli non c'era: lavoro creativo, principalmente, ma anche mare, sole, o più banalmente la felicità che la nostra lingua non contempla. Una volta fuori da lì, non vogliamo più vivere come vivevamo prima. Per cui fai un po' tu. Ma non fare lo spandone.
Giulia Blasi su fb
domenica 26 luglio 2015
Vorrei prenderti a nolo
come una videocassetta
arrivare con la tessera
sceglierti - è sempre bello sceglierti
sul display azzurrino
tra migliaia di affascinanti concorrenti -
vederti uscire dal distributore automatico
con le espadrillas in una mano
e la giacchetta leggera nell'altra.
"Puoi tenermi un solo giorno"
mi diresti appena salita in auto
come fai tutte le volte
tutte
distruttrice di poesie
e io giocherei in tasca con le monetine
raccolte dai carrelli della spesa
di tutte le coop le esselunga le conad
e perfino gli eurospin del mondo
appositamente per pagare le multe
tenerti oltre la mezzanotte
addormentata sul divano
respirante
bellissima.
Ivano Porpora
come una videocassetta
arrivare con la tessera
sceglierti - è sempre bello sceglierti
sul display azzurrino
tra migliaia di affascinanti concorrenti -
vederti uscire dal distributore automatico
con le espadrillas in una mano
e la giacchetta leggera nell'altra.
"Puoi tenermi un solo giorno"
mi diresti appena salita in auto
come fai tutte le volte
tutte
distruttrice di poesie
e io giocherei in tasca con le monetine
raccolte dai carrelli della spesa
di tutte le coop le esselunga le conad
e perfino gli eurospin del mondo
appositamente per pagare le multe
tenerti oltre la mezzanotte
addormentata sul divano
respirante
bellissima.
Ivano Porpora
martedì 14 luglio 2015
Protocollo 894
È su uno scoglio avvolto in una coperta termica,
sdraiato nel doppiofondo di un camion,
galleggia a faccia sotto nello stretto di Sicilia,
cerca i pezzi della sua gamba nel mercato di Gaza,
è sulle punte, al semaforo,
lava i vetri di un suv troppo alto per i suoi nove anni,
ha una cintura di tritolo,
dorme in macchina da due mesi,
fa la badante a un vecchio che le mette le mani addosso,
raccoglie pomodori a Caserta,
vende fazzoletti a un incrocio,
viaggia con un ovulo nello stomaco.
Gianni Solla
È su uno scoglio avvolto in una coperta termica,
sdraiato nel doppiofondo di un camion,
galleggia a faccia sotto nello stretto di Sicilia,
cerca i pezzi della sua gamba nel mercato di Gaza,
è sulle punte, al semaforo,
lava i vetri di un suv troppo alto per i suoi nove anni,
ha una cintura di tritolo,
dorme in macchina da due mesi,
fa la badante a un vecchio che le mette le mani addosso,
raccoglie pomodori a Caserta,
vende fazzoletti a un incrocio,
viaggia con un ovulo nello stomaco.
Gianni Solla
lunedì 13 luglio 2015
I sondaggisti: inetti. Politici nazionali: chiaramente incapaci. Politici internazionali: stupidi pasticcioni. Attori: cani. Calciatori: pippe. Giornalisti: idioti patentati. Scrittori e registi: per carità. Imprenditori: non ci arrivano proprio. Professori: incapaci di insegnare. Sindacalisti: sorpassati e inutili. In maniera del tutto casuale su facebook sono in contatto con i massimi esperti mondiali in mestieri degli altri.
Massimo Morelli
Massimo Morelli
domenica 12 luglio 2015
Se fosse un racconto, sarebbe un racconto che si svolge in dodici ore. Si intitolerebbe "Tango 77 in otto minuti" e i personaggi sarebbero fantastici: il tassista pugile che vuole fare a mazzate con tutta la Milano by night, il tassista chiattone che lo chiama mongolo e per paura delle mazzate poi rettifica: uè, voglio dire come l'abitante della Mongolia, l'appuntato meridionale che raccoglie la denuncia in inglese e non capisce e si illumina quando sente Louis Vuitton, che quello lo sa scrivere perché pure sua moglie tiene la borsetta, e il maresciallo che fa le correzioni e noi le correzioni delle correzioni, i piantoni con la barba da hipster, il chioschetto notturno degli hamburger e salamelle, il caldo che avvolge tutto e si infila a riempire e gonfiare dall'interno tutti i tempi morti. E in mezzo la storia del culatello, che va stagionato nella stalla dei maiali con vista sul Po. Se non c'è il Po non se ne fa nulla. E quella del vegano che combatte contro le tentazioni della carne femminile. Se avessi tempo io la scriverei 'sta storia. E sarebbe divertente, giuro.
Brunella
Brunella
mercoledì 1 luglio 2015
Nel febbraio del 2011 un tunisino a bordo di un’auto sfondò una vetrata del Terminal 1 di Malpensa. Scese dal veicolo brandendo un coltello e seminò il panico finché non venne immobilizzato e arrestato dalla polizia.
Non molto tempo dopo mi trovavo con degli sconosciuti compagni di viaggio in una navetta che mi portava proprio da quell’aeroporto verso uno dei suoi vari parcheggi-satellite. L’autista moriva dalla voglia di arrabbiarsi. Iniziò a tenere un comizio su quegli “stronzi arabi musulmani di merda figli di puttana” che mettevano a repentaglio la sua vita: lui era un padre di famiglia che lavorava ogni giorno sul tragitto da e per l’aeroporto e non si sentiva al sicuro. Si sentiva talmente in pericolo che “ormai non basta più nemmeno votare Lega”.
Essendo i miei geni abbastanza confusi, ho la fortuna di non riuscire quasi mai a venire offeso al 100% da qualsiasi genere di provocazione etnico-territorial-campanilista. Non che mi capiti spesso di trovare persone inclini a insultare i Predazzani, peraltro.
In ogni caso quel giorno, con la mia faccia da brava persona, i miei vestiti da tizio qualunque e il mio smisurato autocompiacimento, impugnai la cortesia che porto sempre con me per difendermi dagli imprevisti e dissi all’autista: “naturalmente lei ha diritto alle sue opinioni, ma la pregherei di esprimerle con un linguaggio diverso perché in questo momento, anche se non lo sa, sta insultando mio padre e metà della mia famiglia.”
L’autista mi guardò dallo specchietto nel tentativo di capire dove stessero andando a schiantarsi le sue certezze. Gli spiegai brevemente la mia condizione di baùscia del Sahel. A quel punto, grazie a Dio, hamdullah, iniziò a farfugliare imbarazzatissimo le sue scuse e ad affannarsi verso la più vicina uscita d’emergenza: “nel mio palazzo abita una marocchina ed è un’ottima persona, andiamo d’accordissimo.”
Lasciando da parte l’ironia, non voglio affatto contestare la banalità della difesa-passepartout “ho un migliore amico ebreo disabile transgender”. Voglio, anzi, soffermarmi sull’evidente sincerità delle sue scuse.
Quell’autista era una brava persona. Era una delle tante brave persone che hanno innanzitutto delle priorità affettive, con la responsabilità di mantenerle e garantire loro un presente ed un futuro, in un contesto che non incoraggia la speranza e non propone un ideale. Era una delle tante brave persone che non hanno il tempo, la voglia e le energie necessarie per compiere il primo e più importante atto di responsabilità individuale: pensare.
Che differenza c’è tra la vicina marocchina e il tunisino che semina il terrore in aeroporto? C’è tutta la differenza di questo mondo, se ci pensi. Ma se non ci pensi, sono entrambi degli stronzi arabi musulmani di merda figli di puttana.
È un momento difficile per la democrazia, che si trova di fronte alle proprie contraddizioni.
In un paese come l’Italia, il leader di destra del partito di sinistra (che a mio personalissimo parere al momento rimane comunque l’alternativa più sensata all’astensione) mal tollera il Parlamento e sembra immaginare se stesso nel ruolo di piccolo despota illuminato.
In un paese come la Tunisia, una donna della mia famiglia, persona di indubbia apertura mentale che insegna sociologia ed è stata la prima a gioire per la Rivoluzione dei Gelsomini, a pochi anni dal crollo del regime mi dice sottovoce: “ma se ci fosse stata la democrazia, invece di Bourguiba, e avessero sottoposto i diritti delle donne al vaglio popolare, credi che ora io sarei una docente universitaria?”
Le statistiche (almeno quelle che ho trovato in giro) ci dicono che è vero che la maggior parte dei crimini contro la proprietà è compiuta da non italiani. Ma ci dicono anche che non è vero che gli extracomunitari sono un fardello economico: ciò che spende lo Stato per loro è inferiore alla ricchezza creata dalle attività professionali ascrivibili a cittadini extracomunitari che operano nel nostro Paese.
La cronaca, peraltro, ci svela che il tunisino di cui sopra non era un terrorista, ma uno squilibrato. Ma il mio autista quel pezzo della notizia se l’era perso, non l’aveva letto, o forse non aveva avuto la pazienza di farlo collidere con le sue certezze.
Io ogni volta che mi chiedo cosa posso fare nel mio piccolo, per il bene della democrazia, mi rispondo due cose.
La prima è fare lo sforzo di pensare, e maledizione a quant’è difficile invece non affidarsi istintivamente alle vulgate, soprattutto a quelle che provengono dalla “nostra” parte, qualunque essa sia.
La seconda, in questo momento, è andare in vacanza in Tunisia.
Karim Ayed
Non molto tempo dopo mi trovavo con degli sconosciuti compagni di viaggio in una navetta che mi portava proprio da quell’aeroporto verso uno dei suoi vari parcheggi-satellite. L’autista moriva dalla voglia di arrabbiarsi. Iniziò a tenere un comizio su quegli “stronzi arabi musulmani di merda figli di puttana” che mettevano a repentaglio la sua vita: lui era un padre di famiglia che lavorava ogni giorno sul tragitto da e per l’aeroporto e non si sentiva al sicuro. Si sentiva talmente in pericolo che “ormai non basta più nemmeno votare Lega”.
Essendo i miei geni abbastanza confusi, ho la fortuna di non riuscire quasi mai a venire offeso al 100% da qualsiasi genere di provocazione etnico-territorial-campanilista. Non che mi capiti spesso di trovare persone inclini a insultare i Predazzani, peraltro.
In ogni caso quel giorno, con la mia faccia da brava persona, i miei vestiti da tizio qualunque e il mio smisurato autocompiacimento, impugnai la cortesia che porto sempre con me per difendermi dagli imprevisti e dissi all’autista: “naturalmente lei ha diritto alle sue opinioni, ma la pregherei di esprimerle con un linguaggio diverso perché in questo momento, anche se non lo sa, sta insultando mio padre e metà della mia famiglia.”
L’autista mi guardò dallo specchietto nel tentativo di capire dove stessero andando a schiantarsi le sue certezze. Gli spiegai brevemente la mia condizione di baùscia del Sahel. A quel punto, grazie a Dio, hamdullah, iniziò a farfugliare imbarazzatissimo le sue scuse e ad affannarsi verso la più vicina uscita d’emergenza: “nel mio palazzo abita una marocchina ed è un’ottima persona, andiamo d’accordissimo.”
Lasciando da parte l’ironia, non voglio affatto contestare la banalità della difesa-passepartout “ho un migliore amico ebreo disabile transgender”. Voglio, anzi, soffermarmi sull’evidente sincerità delle sue scuse.
Quell’autista era una brava persona. Era una delle tante brave persone che hanno innanzitutto delle priorità affettive, con la responsabilità di mantenerle e garantire loro un presente ed un futuro, in un contesto che non incoraggia la speranza e non propone un ideale. Era una delle tante brave persone che non hanno il tempo, la voglia e le energie necessarie per compiere il primo e più importante atto di responsabilità individuale: pensare.
Che differenza c’è tra la vicina marocchina e il tunisino che semina il terrore in aeroporto? C’è tutta la differenza di questo mondo, se ci pensi. Ma se non ci pensi, sono entrambi degli stronzi arabi musulmani di merda figli di puttana.
È un momento difficile per la democrazia, che si trova di fronte alle proprie contraddizioni.
In un paese come l’Italia, il leader di destra del partito di sinistra (che a mio personalissimo parere al momento rimane comunque l’alternativa più sensata all’astensione) mal tollera il Parlamento e sembra immaginare se stesso nel ruolo di piccolo despota illuminato.
In un paese come la Tunisia, una donna della mia famiglia, persona di indubbia apertura mentale che insegna sociologia ed è stata la prima a gioire per la Rivoluzione dei Gelsomini, a pochi anni dal crollo del regime mi dice sottovoce: “ma se ci fosse stata la democrazia, invece di Bourguiba, e avessero sottoposto i diritti delle donne al vaglio popolare, credi che ora io sarei una docente universitaria?”
Le statistiche (almeno quelle che ho trovato in giro) ci dicono che è vero che la maggior parte dei crimini contro la proprietà è compiuta da non italiani. Ma ci dicono anche che non è vero che gli extracomunitari sono un fardello economico: ciò che spende lo Stato per loro è inferiore alla ricchezza creata dalle attività professionali ascrivibili a cittadini extracomunitari che operano nel nostro Paese.
La cronaca, peraltro, ci svela che il tunisino di cui sopra non era un terrorista, ma uno squilibrato. Ma il mio autista quel pezzo della notizia se l’era perso, non l’aveva letto, o forse non aveva avuto la pazienza di farlo collidere con le sue certezze.
Io ogni volta che mi chiedo cosa posso fare nel mio piccolo, per il bene della democrazia, mi rispondo due cose.
La prima è fare lo sforzo di pensare, e maledizione a quant’è difficile invece non affidarsi istintivamente alle vulgate, soprattutto a quelle che provengono dalla “nostra” parte, qualunque essa sia.
La seconda, in questo momento, è andare in vacanza in Tunisia.
Karim Ayed
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