Ordine dal Governo: via la bandiera della pace dai municipi
di Marco Bucciantini
Quella bandiera no. Il governo non vuole vedere il drappo arcobaleno della pace pendere da Palazzo Vecchio. Non vuole vederlo in nessun edificio pubblico. Secondo un “parere” della segreteria del presidente del Consiglio sarebbe reato, vilipendio al Tricolore, abuso d’atti d’ufficio. Sollecitati dalle amministrazioni comunali del Paese, intenzionate a sventolare la bandiera della pace dai vari palazzi comunali e in cerca di conferme “legislative”, i prefetti hanno girato la questione al governo. Il dubbio stava nell’interpretazione del decreto presidenziale 121 del 2000. Più che un dubbio, uno scrupolo, poiché il decreto non ricomprende vessilli diversi da quelli che rappresantano i vari stati (bandiere in senso proprio, d’ora in avanti).
La risposta è stata democraticamente “imbarazzante”, e politicamente netta e rivelatrice: la legge è chiara, niente bandiere di parte, appendere il vessillo della pace equivale al vilipendio della bandiera tricolore (quella tanto cara a Bossi) ed è comunque un abuso in atti d’ufficio.
A Firenze il drappo della pace sventola da lunedì sera «e lì rimane», s’affretta a dire il sindaco Leonardo Domenici, anche presidente dell’Anci. «Mi auguro - aggiunge, informato dal prefetto delle novità - che questa posizione del governo non abbia niente di politico ma sia semplicemente una diversa interpretazione di una norma».
Invero il decreto presidenziale in questione insiste per tutti e dodici gli articoli «sull’uso delle bandiere della Repubblica italiana e dell’Unione europea da parte delle amministrazioni dello Stato e degli enti pubblici”. Se ne delimitano gli impieghi, le esposizioni financo le collocazioni fisiche con grande dettaglio. Quando si citano altre bandiere (articolo 8, comma I), questi sono i termini: «All’esterno e all’interno degli edifici pubblici si espongono bandiere di Paesi stranieri solo nei casi di convegni, incontri e manifestazioni internazionali, o di visite ufficiali di personalità straniere, o per analoghe ragioni cerimoniali». In modo inequivoco si connota ancor di più il senso di “bandiera” come simbolo di uno Stato o comunque di un soggetto istituzionale. Questo dovrebbe guidare l’interpretazione dell’articolo finale del decreto, il dodicesimo: «L’esposizione delle bandiere all’esterno e all’interno delle sedi delle regioni e degli enti locali è oggetto dell’autonomia normativa e regolamentare delle rispettive amministrazioni» scrive il legislatore (è questo l’abuso di ufficio?), prima di evidenziare ancora una volta il concetto di bandiera: «In ogni caso la bandiera nazionale e quella europea sono esposte congiuntamente al vessillo o gonfalone proprio dell’ente...».
Due domande: cosa c’entra quel drappo arcobaleno con una bandiera così connotata? Ancora: come si specifica l’autonomia normativa e regolamentare prevista? L’apposizione fra le due finestre della “bandiera” (virgolette d’obbligo) della pace esposta a Palazzo Vecchio ha seguito - lunedì - il voto affermativo del consiglio comunale. Ma rendere cavillosa la questione è un torto che si fa alla reale portata dell’interpretazione governativa, che tra l’altro sposa in pieno la linea fondamentalista del Giornale, che ieri - nell’inserto regionale toscano - registrava un editoriale dal titolo “La legge vieta i vessilli di parte”. La “pace” sarebbe un concetto di parte. Bisogna fissare questo punto. Perché fino a questa interpretazione del decreto legge, fino a questo “avvertimento” a chi espone l’arcobaleno, la linea cerchiobottista dell’esecutivo si augurava la risoluzione pacifica della crisi irachena. È stato ripetuto più volte, dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, dai ministri, dai parlamentari di tutto il Polo: c’era da taner di conto dei sondaggi che vedono l’opinione pubblica quasi totalmente impegnata nella causa pacifica. «Non è lo stesso Berlusconi che ha parlato a lungo degli sforzi da fare per raggiungere la pace? », si domanda Domenici. Per certo, l’avviso è stato recapitato anche alla prefettura di Torino.
In realtà chi cerca la pace, chi difende la logica della soluzione pacifica alla questione irachena, chi cerca di allargare il fronte degli oppositori alla guerra dà fastidio. E allora si soffiano questi avvisi di reato, cercando di bloccare la marea contraria all’azione (ma soprattutto all’intenzione) di governo. Per fare un esempio concreto, alcuni consiglieri forzisti della Regione Emilia Romagna hanno bollato come «abusive, violente e offensive delle istituzioni» le bandiere della pace che sventolano da alcuni giorni dalle finistre dei gruppi consiliari della sinistra.
Qualcuno se ne infischia. Due notizie dall’Italia che resiste: la giunta comunale di Forlì ha deciso ieri di aderire alla campagna «pace da tutti i balconi» esponendo la bandiera della pace sulla facciata del Palazzo comunale e facendo proprio l’appello del sindaco di Firenze a sostegno delle iniziative volte ad evitare la guerra in Iraq e sollecitando le città irachene ad una analoga iniziativa verso il regime di Baghdad. Intanto, il sindaco di Belluno, Ermano De Col, eletto per il centrosinistra alle comunali del 2001, ha da una settimana sulla sua scrivania l’intimazione governativa a togliere il vessillo iridato. L’idea, alla faccia delle interpretazioni “restrittive”, non gli è neanche balenata. La bandiera della pace resterà dov’è. E ci sta anche bene, pensa il 93 per cento degli italiani.