Il dio Mitra nasce in una grotta in concomitanza con il solstizio di inverno e viene adorato dai pastori. Al dio Mitra viene affidato dal Padre Sole il compito di contrastare Arimane, lo spirito del male, che vuole distruggere il mondo. Mitra – compiuta la sua missione salvifica – presiede un rito sacrificale (vd ultima cena) alla presenza dei suoi seguaci (vd apostoli), quindi sale al cielo su un carro di luce, per riunirsi al Padre Sole. La vita sulla Terra sarebbe poi continuata fino al Grande Anno, quando Mitra sarebbe tornato per separare i buoni dai cattivi: ai primi avrebbe offerto la bevanda dell’immortalità, resuscitandoli; i secondi sarebbero stati distrutti dal fuoco.
Il culto di Mitra – che contemplava anche una iniziazione sub specie di rito battesimale – insieme ad altri culti solari, venne di fatto posto fuori legge e sostituito dal culto di Cristo nel 354. Nel 461 papa Leone I fissò poi definitivamente la liturgia del natale cristiano.
Ma i sacerdoti del dio Mitra avevano scelto quella data perché nei precedenti secoli e millenni quello era stato il giorno della celebrazione della nascita di Osiride, e in altre civiltà di Attis, di Adonis, di Dioniso. (A Babilonia si festeggiava il dio Tammuz, unico figlio della dea Istar, rappresentata – come oggi la Madonna – con il bimbo in braccio e una aureola di dodici stelle attorno alla testa). Quindi papa Giulio I, che nel 354 scelse per il natale cristiano il 25 dicembre, non fece che inserire la nuova divinità nella consolidata tradizione romana della festa del Sol Invictus, capace di “risorgere” proprio mentre sembra che stia per scomparire. Inoltre, “figlio di Dio” era già un appellativo pagano e la divinizzazione di Gesù da parte cristiana procedette parallelamente (II-V secolo d. C.) alla divinizzazione da parte pagana degli imperatori defunti, mentre l’imperatore vivente era chiamato, per l’appunto, “figlio di dio”.
Una maggiore consapevolezza circa la dimensione storica degli elementi della loro religione (compresi la nascita miracolosa e la crocifissione: l’icona di Dioniso crocifisso, per esempio) dovrebbe indurre i cristiani ad esercitare maggiormente la filologia, cioè lo spirito critico. Succede con tutte le manifestazioni umane: si assimila ciò che non conviene contrastare. Non esiste nulla che nasca ex-novo: su questo presupposto Hegel ha costruito un intero sistema di pensiero.
Franco Buffoni (su fb)
mercoledì 17 dicembre 2014
[archeoblog]
Certe notti...
Ore 2 meno un quarto.
Traffico nell'altra stanza. Passi. Svelti. Nonna. Chiavistello. Porta.
PORTA???
Mi precipito all'ingresso e la trovo fuori a camminare disinvolta sul pianerottolo appoggiata ad un ombrello chiuso, in perfetto stile inglese.
Mi vede arrivare e con quei suoi occhioni azzurri, serafica mi rivolge uno sguardo alla " yes darlin' ?"
Temo mentre chiedo "nonna cosa ci facciamo qui di fuori?"
Risponde con un sorriso smagliante a 32 ipotetici denti "sono venuta a vedere come va la stagione!"
Ah! Ecco!!!
Lo sapevo, risposta lineare. Non avevo alcun dubbio.
È così che mi batte ogni volta.
Allora? chessifà? Vado a prendere due birre da berci sulla scala?
Ha proprio ragione lei, che questa notte quieta e fresca meriterebbe davvero MA lasciamo perdere. Lasciamo anche l'ombrello e la riporto a letto.
La risvesto, di nuovo, e buonanotte di nuovo! Mi fa "ciao" con la mano.
Lei Mi Fa Ciao Con La Mano da sotto le coperte. Ricambio.
Quindi vado a saldare la porta, guardinga.
Ritorno a letto e azzardo un "anche questa è fatta" quando sento il cic-ciac della luce.
Ok, vada per le birre.
Difficile a volte distinguere la giovane dalla centenaria!
Mi
Ore 2 meno un quarto.
Traffico nell'altra stanza. Passi. Svelti. Nonna. Chiavistello. Porta.
PORTA???
Mi precipito all'ingresso e la trovo fuori a camminare disinvolta sul pianerottolo appoggiata ad un ombrello chiuso, in perfetto stile inglese.
Mi vede arrivare e con quei suoi occhioni azzurri, serafica mi rivolge uno sguardo alla " yes darlin' ?"
Temo mentre chiedo "nonna cosa ci facciamo qui di fuori?"
Risponde con un sorriso smagliante a 32 ipotetici denti "sono venuta a vedere come va la stagione!"
Ah! Ecco!!!
Lo sapevo, risposta lineare. Non avevo alcun dubbio.
È così che mi batte ogni volta.
Allora? chessifà? Vado a prendere due birre da berci sulla scala?
Ha proprio ragione lei, che questa notte quieta e fresca meriterebbe davvero MA lasciamo perdere. Lasciamo anche l'ombrello e la riporto a letto.
La risvesto, di nuovo, e buonanotte di nuovo! Mi fa "ciao" con la mano.
Lei Mi Fa Ciao Con La Mano da sotto le coperte. Ricambio.
Quindi vado a saldare la porta, guardinga.
Ritorno a letto e azzardo un "anche questa è fatta" quando sento il cic-ciac della luce.
Ok, vada per le birre.
Difficile a volte distinguere la giovane dalla centenaria!
Mi
lunedì 15 dicembre 2014
[per la serie: frasi da incorniciare]
Quando un percorso inizia, in realtà è al giro di boa.
elena petulia
Quando un percorso inizia, in realtà è al giro di boa.
elena petulia
mercoledì 5 novembre 2014
<3
Due settimane fa prendemmo la strada di casa per la prima volta insieme, per la prima volta in tre.
Che poi in realtà a casa siamo in cinque ora, Matilde stranamente affettuosa, e pare che anche Pablo inizi ad ingranare.
Sei arrivato in anticipo all'appuntamento, pare che tu abbia preso dal papà in questo.
È vero, il dolore passa. Per quanto forte, per quanto insopportabile. Non credo lo dimenticherò, ma in fondo che importa, tu eri lì, rannicchiato su di me come un ranocchio, distratto da tutte le novità attorno, cercando l'odore di mamma e le voci conosciute di quei matti dei tuoi genitori.
Subito pronto a fare scherzi, cacca santa, appiccicosa come melassa nelle mie mani.
Due ore pelle a pelle, e poi via col papà a misurarti, pesarti, lavarti, vestirti, registrarti.
Abbiamo deciso il tuo nome solo dopo averti guardato, anche se resterai sempre il nostro Luiboh malaussèniano.
Torni dopo un po' da me. Inizia l'avventura.
Sei tu.
Sì, sei proprio tu.
Finalmente ci conosciamo di persona, finalmente ti guardo e ti riconosco.
E mi hai già stregato.
Papà è stanchissimo, più di mamma, che se la cava, santi ormoni.
Due giorni di ospedale, impariamo a maneggiarti, e poi ci dimettono.
Che grandi novità, la vita non è più la stessa.
Otto mesi e mezzo con un bozzolo cresciuto di giorno in giorno.
Sabato quindici febbraio abbiamo scoperto che esistevi; due test, perché il primo era quello scrauso con le lineette rosa che non si capisce mai se sono due o una, perché l'ho fatto quasi per curiosità, perché il ritardo era solo di qualche giorno.
Il tuo cuore che batte a inizio marzo, sentito senza averlo previsto a causa di una visita in ps.
Il primo sguardo su di te a metà marzo.
Scopriamo che sei un maschietto a fine aprile. Dopo aver fatto il primo venticinque aprile insieme, anche se tu dentro di me. Il prossimo parteciperai.
Inizio a sentirti muovere all'inizio di giugno, e da allora non ti sei più fermato. Percepivo i tuoi talloni che mi davano i calci, quei piedini che ora mangerei. Peraltro sei stato, fino ad ora, l'unico essere vivente autorizzato a prendermi a calci.
Sono stata attenta a prendermi cura di te da subito, mentre eravamo una cosa sola, ho fatto tutto quello che era necessario fare, senza smettere però di fare quello che facevo prima di te se non ti esponeva a rischi.
Ti ho ascoltato, ti ho parlato, ti ho cantato e letto.
Ora sei qui. Ti ascolto, ti parlo, ti canto. Ti racconto anche della nonna ogni tanto, che ha deciso di lasciarti il posto poco prima che tu arrivassi...avrebbe voluto tanto conoscerti.
Mi prendo cura di te. Avrò cura di te.
Il papà è bravissimo, se potesse ti allatterebbe pure.
Ti prendiamo in giro spesso, ci incantiamo a guardarti. Non faccio molto caso al fatto che magari non mi fai dormire tanto perché sei uno vorace.
Sei buffo, fai espressioni che sono irresistibili.
Cambi di giorno in giorno.
Ho paura di non ricordarmi di te come sei ora.
Per cui scrivo di te, per avere memoria di te.
M.M.
Due settimane fa prendemmo la strada di casa per la prima volta insieme, per la prima volta in tre.
Che poi in realtà a casa siamo in cinque ora, Matilde stranamente affettuosa, e pare che anche Pablo inizi ad ingranare.
Sei arrivato in anticipo all'appuntamento, pare che tu abbia preso dal papà in questo.
È vero, il dolore passa. Per quanto forte, per quanto insopportabile. Non credo lo dimenticherò, ma in fondo che importa, tu eri lì, rannicchiato su di me come un ranocchio, distratto da tutte le novità attorno, cercando l'odore di mamma e le voci conosciute di quei matti dei tuoi genitori.
Subito pronto a fare scherzi, cacca santa, appiccicosa come melassa nelle mie mani.
Due ore pelle a pelle, e poi via col papà a misurarti, pesarti, lavarti, vestirti, registrarti.
Abbiamo deciso il tuo nome solo dopo averti guardato, anche se resterai sempre il nostro Luiboh malaussèniano.
Torni dopo un po' da me. Inizia l'avventura.
Sei tu.
Sì, sei proprio tu.
Finalmente ci conosciamo di persona, finalmente ti guardo e ti riconosco.
E mi hai già stregato.
Papà è stanchissimo, più di mamma, che se la cava, santi ormoni.
Due giorni di ospedale, impariamo a maneggiarti, e poi ci dimettono.
Che grandi novità, la vita non è più la stessa.
Otto mesi e mezzo con un bozzolo cresciuto di giorno in giorno.
Sabato quindici febbraio abbiamo scoperto che esistevi; due test, perché il primo era quello scrauso con le lineette rosa che non si capisce mai se sono due o una, perché l'ho fatto quasi per curiosità, perché il ritardo era solo di qualche giorno.
Il tuo cuore che batte a inizio marzo, sentito senza averlo previsto a causa di una visita in ps.
Il primo sguardo su di te a metà marzo.
Scopriamo che sei un maschietto a fine aprile. Dopo aver fatto il primo venticinque aprile insieme, anche se tu dentro di me. Il prossimo parteciperai.
Inizio a sentirti muovere all'inizio di giugno, e da allora non ti sei più fermato. Percepivo i tuoi talloni che mi davano i calci, quei piedini che ora mangerei. Peraltro sei stato, fino ad ora, l'unico essere vivente autorizzato a prendermi a calci.
Sono stata attenta a prendermi cura di te da subito, mentre eravamo una cosa sola, ho fatto tutto quello che era necessario fare, senza smettere però di fare quello che facevo prima di te se non ti esponeva a rischi.
Ti ho ascoltato, ti ho parlato, ti ho cantato e letto.
Ora sei qui. Ti ascolto, ti parlo, ti canto. Ti racconto anche della nonna ogni tanto, che ha deciso di lasciarti il posto poco prima che tu arrivassi...avrebbe voluto tanto conoscerti.
Mi prendo cura di te. Avrò cura di te.
Il papà è bravissimo, se potesse ti allatterebbe pure.
Ti prendiamo in giro spesso, ci incantiamo a guardarti. Non faccio molto caso al fatto che magari non mi fai dormire tanto perché sei uno vorace.
Sei buffo, fai espressioni che sono irresistibili.
Cambi di giorno in giorno.
Ho paura di non ricordarmi di te come sei ora.
Per cui scrivo di te, per avere memoria di te.
M.M.
giovedì 23 ottobre 2014
MINDSCAPES
Il tempo era infinito in quei pomeriggi di sole e sassaiole.
Eravamo bande di ragazzini, divisi dal dialetto che parlavamo.
Piccoli guerrieri di un esercito di sbandati, che vivevano in una città non ancora nata, solo abbozzata, dove più che uomini abitavano topi.
I cantieri a cielo aperto, e gli scavi, erano un richiamo troppo forte per noi che aspettavamo finissero di lavorare gli operai per farne trincee. Si giocava con quello che c’era. E quello che c’era era terra smossa e sassi da tirare da una buca all’altra, alla cieca; sassi da schivare quando ti arrivavano addosso.
La sera portava la tregua al vociare delle madri che ci chiamavano gridando il nostro nome; e il correre veloce dei ratti che si erano tenuti lontani da noi per tutto il tempo.
I lividi erano medaglie; chi beccava più sassate era il più coraggioso perché voleva dire che per scagliare la sua pietra si era sporto dalla buca, un bersaglio facile per i cecchini avversari.
Andrea aveva tanti lividi.
Li aveva anche prima che cominciasse la sassaiola.
Lividi lunghi, sulle braccia scoperte, sulle gambe magre dentro pantaloni corti di tela leggera. Lividi diversi da quelli tondi che lasciavano i sassi, ma se alla fine del giorno glieli contavi, quelli tondi superavano sempre di numero gli altri.
Sembrava voler nascondere le botte che prendeva a casa con quelle che cercava fuori.
Se solo ci penso... aveva certe bozzi in testa che li vedevi spuntare dai capelli tagliati corti per via dei pidocchi.
Andrea abitava nel mio palazzo, e non avevi bisogno di guardare fuori per capire quando suo padre tornava.
Lo sentivi dai passi strascicati, dalla sua voce impastata che chiamava sua moglie mentre sembrava volesse tirare giù a pugni la porta di casa.
E poi le grida, le bestemmie i piatti tirati sul muro. E all’improvviso tutto questo finiva.
Restava un pianto sommesso e la voce di Andrea che cercava di calmare la madre.
Il mattino dopo lui avrebbe avuto nuovi lividi, da coprire di gloria nella prossima sassaiola.
Non abbiamo mai parlato di quello che accadeva in quella casa, ma vedevi che gli occhi gli scappavano via, almeno quelli.
Perché lui non poteva andarsene, non poteva lasciare sua madre sola con un padre così.
Sono passati tanti anni, ormai il tempo non è più infinito
Ora Andrea si è sposato, ha un lavoro, due figli che adora. Non ha mai bevuto altro che non fosse acqua.
Suo padre se lo è portato via la vita che si era disegnato, provvisoria, breve.
Sua madre ha vissuto una vecchiaia finalmente serena.
Alle volte lo vedo ancora, e scherzando gli passo la mano tra i pochi capelli che gli sono rimasti.
I bozzi ci sono ancora, ma bisogna cercarli per trovarli; come sbiadite medaglie di una guerra vinta.
.: remote
(per SEGNALE ORARIO [Gli Orologi di Everton])
[con adeguata colonna sonora: Suzanne Vega, Luka]
Il tempo era infinito in quei pomeriggi di sole e sassaiole.
Eravamo bande di ragazzini, divisi dal dialetto che parlavamo.
Piccoli guerrieri di un esercito di sbandati, che vivevano in una città non ancora nata, solo abbozzata, dove più che uomini abitavano topi.
I cantieri a cielo aperto, e gli scavi, erano un richiamo troppo forte per noi che aspettavamo finissero di lavorare gli operai per farne trincee. Si giocava con quello che c’era. E quello che c’era era terra smossa e sassi da tirare da una buca all’altra, alla cieca; sassi da schivare quando ti arrivavano addosso.
La sera portava la tregua al vociare delle madri che ci chiamavano gridando il nostro nome; e il correre veloce dei ratti che si erano tenuti lontani da noi per tutto il tempo.
I lividi erano medaglie; chi beccava più sassate era il più coraggioso perché voleva dire che per scagliare la sua pietra si era sporto dalla buca, un bersaglio facile per i cecchini avversari.
Andrea aveva tanti lividi.
Li aveva anche prima che cominciasse la sassaiola.
Lividi lunghi, sulle braccia scoperte, sulle gambe magre dentro pantaloni corti di tela leggera. Lividi diversi da quelli tondi che lasciavano i sassi, ma se alla fine del giorno glieli contavi, quelli tondi superavano sempre di numero gli altri.
Sembrava voler nascondere le botte che prendeva a casa con quelle che cercava fuori.
Se solo ci penso... aveva certe bozzi in testa che li vedevi spuntare dai capelli tagliati corti per via dei pidocchi.
Andrea abitava nel mio palazzo, e non avevi bisogno di guardare fuori per capire quando suo padre tornava.
Lo sentivi dai passi strascicati, dalla sua voce impastata che chiamava sua moglie mentre sembrava volesse tirare giù a pugni la porta di casa.
E poi le grida, le bestemmie i piatti tirati sul muro. E all’improvviso tutto questo finiva.
Restava un pianto sommesso e la voce di Andrea che cercava di calmare la madre.
Il mattino dopo lui avrebbe avuto nuovi lividi, da coprire di gloria nella prossima sassaiola.
Non abbiamo mai parlato di quello che accadeva in quella casa, ma vedevi che gli occhi gli scappavano via, almeno quelli.
Perché lui non poteva andarsene, non poteva lasciare sua madre sola con un padre così.
Sono passati tanti anni, ormai il tempo non è più infinito
Ora Andrea si è sposato, ha un lavoro, due figli che adora. Non ha mai bevuto altro che non fosse acqua.
Suo padre se lo è portato via la vita che si era disegnato, provvisoria, breve.
Sua madre ha vissuto una vecchiaia finalmente serena.
Alle volte lo vedo ancora, e scherzando gli passo la mano tra i pochi capelli che gli sono rimasti.
I bozzi ci sono ancora, ma bisogna cercarli per trovarli; come sbiadite medaglie di una guerra vinta.
.: remote
(per SEGNALE ORARIO [Gli Orologi di Everton])
[con adeguata colonna sonora: Suzanne Vega, Luka]
mercoledì 10 settembre 2014
martedì 26 agosto 2014
Caro panzone, sono dieci anni esatti che te ne sei andato, e a me paiono a volte due giorni a volta due milioni. Dieci anni che me la devo cavare senza i tuoi consigli, e infatti la mia vita è molto peggiorata, dieci anni che non facciamo più cene e zingarate sparse per l’Italia, dieci anni che tutto, cioè niente. [...]
Lele (da Blogorrea)
Lele (da Blogorrea)
giovedì 3 luglio 2014
Chi ti ama ti conosce. E nei momenti difficili ha la capacità di prenderti per mano e accompagnarti a ritroso, fino a trovare i punti di ripristino: quei momenti nella tua vita in cui ti piaceva qualcosa, avevi una motivazione. Quei momenti in cui risplendevi e sorridevi. Te li mostra, ripetutamente, e insieme a te li recupera.
Flounder
Flounder
mercoledì 18 giugno 2014
La ragazza trovò nella soffitta un libro di poesie appartenuto a sua madre. Ne lesse una. Dopo poche settimane ebbe le nausee: la poesia l’aveva ingravidata. Nove mesi dopo nacque un bambino.
A scuola nessuno voleva sedersi accanto al bambino senza padre e la gente aveva paura della sua bellezza. Altri bambini lo picchiarono, lui cadde contro un albero secco e in quel momento l’albero fiorì. A quattordici anni lasciò la casa di sua madre e viaggiò per tutta la vita. Girò per ogni città e lesse i libri di ogni biblioteca senza mai riuscire a trovare suo padre. Quando tornò a casa era un uomo e sua madre era sul letto di morte, vecchia, con i capelli bianchi. Lo hai trovato?, gli chiese la donna, No, rispose, hai detto che sono stato concepito da una donna e una poesia?, Sì, come lo sono stata io, stesso padre e stesso marito, Allora nostro padre è dentro ogni uomo, noi siamo i figli di ogni paura e di ogni solitudine. La donna sorrise e in quel momento la sua vita finì. Suo figlio si avvicinò, le mise le mani sul cuore e la sua magia si ripeté. Sua madre tornò giovane, i capelli ritornarono neri e lunghi. Ritornò come era quando lo concepì, ma non si risvegliò e quando l’ultimo respiro le evaporò dal petto, l’uomo sparì, perché per tutta la vita, la donna aveva immaginato di avere un figlio facendo l’amore con una poesia.
Gianni Solla
A scuola nessuno voleva sedersi accanto al bambino senza padre e la gente aveva paura della sua bellezza. Altri bambini lo picchiarono, lui cadde contro un albero secco e in quel momento l’albero fiorì. A quattordici anni lasciò la casa di sua madre e viaggiò per tutta la vita. Girò per ogni città e lesse i libri di ogni biblioteca senza mai riuscire a trovare suo padre. Quando tornò a casa era un uomo e sua madre era sul letto di morte, vecchia, con i capelli bianchi. Lo hai trovato?, gli chiese la donna, No, rispose, hai detto che sono stato concepito da una donna e una poesia?, Sì, come lo sono stata io, stesso padre e stesso marito, Allora nostro padre è dentro ogni uomo, noi siamo i figli di ogni paura e di ogni solitudine. La donna sorrise e in quel momento la sua vita finì. Suo figlio si avvicinò, le mise le mani sul cuore e la sua magia si ripeté. Sua madre tornò giovane, i capelli ritornarono neri e lunghi. Ritornò come era quando lo concepì, ma non si risvegliò e quando l’ultimo respiro le evaporò dal petto, l’uomo sparì, perché per tutta la vita, la donna aveva immaginato di avere un figlio facendo l’amore con una poesia.
Gianni Solla
mercoledì 11 giugno 2014
vado a leggere nella cartella spam tutte le vite che non ho avuto
- Mone(purtroppo) nei commenti di Saramon
- Mone(purtroppo) nei commenti di Saramon
giovedì 5 giugno 2014
credo nell'odore della pelle
credo agli scrittori folli e ai pittori geniali
credo nell'istinto dell'anima
credo ai musicisti fantasiosi e ai poeti sconosciuti
credo nel potere senza limiti della nostra mente e nella debolezza limitante del nostro corpo
credo nel camminare, nella sosta e nella pioggia
credo negli incontri casuali, negli amori sbagliati e negli anni rubati
credo nei figli e ai loro passi pesanti
credo negli amanti e ai loro incontri scostanti
credo nella gente annoiata e nei cinema vuoti
credo nell'aria pesante di aliti in una metropolitana
credo nella notte buia di un bosco
credo nella rinascita possibile, ogni volta
credo nella paura degli altri
credo nell'acqua rigenerante dei mari
credo nell'abbraccio agli alberi e nella terra sotto le unghie
credo nella salivazione perfetta di un bacio
credo agli artisti incompresi e ai poeti rinchiusi
credo nella verità degli occhi
credo agli scultori stanchi e ai blogger inutili
lifeart
credo agli scrittori folli e ai pittori geniali
credo nell'istinto dell'anima
credo ai musicisti fantasiosi e ai poeti sconosciuti
credo nel potere senza limiti della nostra mente e nella debolezza limitante del nostro corpo
credo nel camminare, nella sosta e nella pioggia
credo negli incontri casuali, negli amori sbagliati e negli anni rubati
credo nei figli e ai loro passi pesanti
credo negli amanti e ai loro incontri scostanti
credo nella gente annoiata e nei cinema vuoti
credo nell'aria pesante di aliti in una metropolitana
credo nella notte buia di un bosco
credo nella rinascita possibile, ogni volta
credo nella paura degli altri
credo nell'acqua rigenerante dei mari
credo nell'abbraccio agli alberi e nella terra sotto le unghie
credo nella salivazione perfetta di un bacio
credo agli artisti incompresi e ai poeti rinchiusi
credo nella verità degli occhi
credo agli scultori stanchi e ai blogger inutili
lifeart
mercoledì 30 aprile 2014
"Che bella giornata, sembrano due!"
Giorgio Boatti (ospite di Concita De Gregorio), citando la madre mondina al cospetto di una giornata di sole
Giorgio Boatti (ospite di Concita De Gregorio), citando la madre mondina al cospetto di una giornata di sole
mercoledì 23 aprile 2014
“Che fai stasera? Potrei invitarti a cena?”
“Tu come lo scrivi po’?”
“…”
“Perché sai, io esco solo con chi lo scrive con l’apostrofo”.
vera gheno
“Tu come lo scrivi po’?”
“…”
“Perché sai, io esco solo con chi lo scrive con l’apostrofo”.
vera gheno
sabato 19 aprile 2014
[...] cercando di perdonare a se stessi l'assenza, lo svarione, la mancata bellezza di cui abbiamo peccato [...]
Sabina
Sabina
martedì 1 aprile 2014
se oggi Jonathan Swift pubblicasse Una modesta proposta, tra qualche mese qualcuno su internet comincerebbe a parlare di un complotto di massoni irlandesi infanticidi e antropofagi. L'informazione arriverebbe a loro in modo talmente indiretto che sarebbero incapaci di riconoscere la fonte originaria anche se gliela mettessimo sotto il naso: costretti a leggere il testo di Swift, direbbero che beh, sì, è chiaro che Swift scherza, ma... sta soltanto coprendo qualcuno che i bambini li vuole cucinare lo stesso, ne ho sentito parlare su facebook.
Leonardo
Leonardo
sabato 22 marzo 2014
Mi strinse forte. Mai come in quel momento fui certa che la vita può essere terribile, e che possiamo darle un senso solo grazie alle cose più piccole, che offrono conforto ma non una spiegazione. Cercare ragioni elevate non fa che potenziare un incommensurabile senso di assurdità.
Alicia Giménez-Bartlett, Gli onori di casa (traduzione di Maria Nicola)
Alicia Giménez-Bartlett, Gli onori di casa (traduzione di Maria Nicola)
mercoledì 12 marzo 2014
Che fosse maledetto quel 1922! A vederla adesso, appena finita la guerra, ogni cosa in quell'anno suonava come un presagio funesto, ma le cose bisogna capirle in tempo, o almeno ricordarsele per sempre: fino a quando ci sarebbe stata memoria? Fino a quando ci si sarebbe salvati dalla voglia di impero di un nuovo imbonitore da fiera?
Alessandro Perissinotto, Treno 8017
Alessandro Perissinotto, Treno 8017
lunedì 17 febbraio 2014
La festa che non ci fu
I braccianti delle campagne della Patagonia argentina avevano incrociato le braccia contro i salari bassissimi e le lunghissime giornate lavorative, e l'esercito si incaricò di ristabilire l'ordine.
Fucilare stanca. In quella notte di oggi del 1922 i soldati, esausti di così tante uccisioni, andarono al bordello del porto San Julián a ricevere la loro meritata ricompensa.
Ma le cinque donne che vi lavoravano gli chiusero la porta in faccia e li svergognarono al grido di: "Assassini, assassini, via di qui..."
Osvaldo Bayer ha conservato i loro nomi. Si chiamavano Consuelo García, Ángela Fortunato, Amalia Rodríguez, María Juliache e Maud Forest.
Le puttane. Le dignitose.
Eduardo Galeano, I figli dei giorni ("Febbraio 17")
Fucilare stanca. In quella notte di oggi del 1922 i soldati, esausti di così tante uccisioni, andarono al bordello del porto San Julián a ricevere la loro meritata ricompensa.
Ma le cinque donne che vi lavoravano gli chiusero la porta in faccia e li svergognarono al grido di: "Assassini, assassini, via di qui..."
Osvaldo Bayer ha conservato i loro nomi. Si chiamavano Consuelo García, Ángela Fortunato, Amalia Rodríguez, María Juliache e Maud Forest.
Le puttane. Le dignitose.
Eduardo Galeano, I figli dei giorni ("Febbraio 17")
mercoledì 5 febbraio 2014
Oltre la Vita c'e' la Vita. Domenica pomeriggio Pupa ed io arriviamo in clinica che il cielo era azzurro terso. Uno stormo di gabbiani volava proprio sopra la palazzina e io penso che i miei gabbiani erano venuti per lui. Pino stava male, molto, respirava a fatica, era tutto un dolore ormai. Abbiamo cercato un aiuto nella televisione, qualunque cosa sarebbe andata bene purche' fosse stata soft. Invece a un certo punto abbiamo spento perche' quel trash di galline svampite e voci chiocce stava profanando qualcosa di sacro, il dolore di un uomo va rispettato sempre. Arianna leggeva qualcosa, le chiedo cos'e', lei dice "poi te lo dico". Allora guardo il titolo. E' il "Libro Tibetano dei Morti". Le dico " leggimi qualcosa". E lei legge alcuni passi che via via ci aiutano a ritrovare la Luce. C'e' un brano importante che consiglia di non avere paura quando si lascia la dimensione umana per andare verso quella misteriosa onda luminosa che pero' puo' terrificare. Perche' tutto terrifica se non lo si conosce. Mentre Pupa con quell'immenso coraggio che solo l'amore sa dare si occupa di tante piccole importanti cose pratiche, compreso il riscaldare mani e piedi del suo papa', io sento che devo proteggerlo da quella paura dell'Ignoto Viaggio che Pino sta per affrontare. Ognuno aiuta assecondando la sua natura che e' sempre buona, ma bisogna trovare il coraggio di trovarla. Io so soltanto proteggere le persone da se stesse, dalle loro paure e dall'altrui ingiustizia e cosi' a quel mio compito mi attendo. In serata Pino peggiora, il respiro si fa mozzo e sempre piu' corto. Pupa in silenzio piange disperata. Ma abbiamo un dovere da svolgere: dobbiamo restare serene perche' lui non deve andarsene via impaurito e traversare nel terrore la Porta dell'Altra Dimensione. Cosi' mentre gli tengo la mano abbraccio le mani di mia figlia e della sua compagna che subito si stringono in un abbraccio forte. E tutti e quattro, insieme, affrontiamo quel qualcosa che il mondo fa apparire lugubre e disperato e che noi riusciamo a trasformare in un sereno.... arrivederci. Non c'e' piu' tempo per le lacrime, abbiamo un compito da svolgere. Alle tre l'ultimo respiro. Siamo serene e continuiamo ad incoraggiarlo: non aver paura piccolo grande uomo, di la' ci sono i grandi spiriti che ti prenderanno per mano e continueranno cio' che noi qui abbiamo incominciato. Il mio gabbiano piange e piangera' fino a mattino sopra la clinica. Noi no. Lui e' ancora qui e non deve vederci disperate. Quando arrivano gli umani ad occuparsi delle cose materiali io mi allontano. Non andro' al funerale dove coloro che lo hanno lasciato solo in vita si puliranno la coscienza con quattro lacrime di condoglianze. Noi tre ci occupiamo di piccole terribili cose mortuarie, purtroppo. Ma nessuno deve toglierci quella serenita' con la quale abbiamo accompagnato Pino che sentiamo ancora vivo, in giro per l'etere a curiosare come faceva di solito. Cosi' lo immaginiamo dalle tre di domenica 27 dicembre e non e' pia illusione. Il "dopo" e' fatto di ricerca delle prove di una vita ultratterrena, prove che sono sempre arrivate e che stanno arrivando a cominciare da un grande senso di pace. Chi ama per davvero dona. E i grandi spiriti dei morti sanno bene come restituire. La Gratitudine e' sentimento divino che gli spiriti conoscono bene. Oltre la vita c'e' la vita che e' pace, e' gratitudine, e' proseguire il viaggio insieme. Pino non e' "morto". Ha soltanto cominciato un Nuovo Viaggio. Ma e' qui con noi. Perche' nessuna signora con la falce potra' mai spezzare quel legame superiore e misterioso che noi chiamiamo Amore. Che e' eterno. Per noi che restiamo, man mano che il cervello prende coscienza della perdita il dolore si fa piu' forte. E sara' sempre piu' forte. Siamo umani, fragili e fallaci. Ma abbiamo dentro di noi la scintilla di una Luce Universale dalla quale tutti proveniamo e alla quale tutti ritorneremo. Noi siamo Luce amico mio Zu, dovremmo ricordarcelo piu' spesso. E Luce dovremmo imparare a donare a coloro che non riescono piu' a ricordarla. E se gli uomini di oggi ci rifiutano, c'e' sempre qualcuno che vorrebbe essere accompagnato nel suo viaggio oltre la vita verso la vita. O un bambino a cui donare una carezza e un sorriso. O un vecchio solo che vorrebbe raccontare la sua storia a qualcuno che lo stia ad ascoltare. Vita e' l'Amore che non muore
Bea, alias Mariemarion
Bea, alias Mariemarion
domenica 26 gennaio 2014
Arena di Verona, sera di settembre, l'anno esatto non ricordo. Ricordo invece la leggera brezza alleviare, a tratti e in altri intensificare, il dolore dell'anima e della schiena. In bilico tra il bene e il male, quella sera le note di questa canzone sono entrate in quelle che io chiamo le terre di mezzo dove la coscienza delle umane fragilità può dare disperazione ma anche inaspettate forze.
Tania
Tania
giovedì 9 gennaio 2014
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