anche questa domenica mattina mi sono alzato alle cinque, che freddo! ieri sera ho finito di lavorare alle 23 e sono arrivato a casa a mezzanotte. Non sono riuscito a dare la buonanotte alla mia compagna, e al giovane uomo che cresce nell'altra stanza. quanta pazienza che hanno nei miei confronti e del mio lavoro. guardo la lista degli arrivi, e scorro i nomi degli ospiti che aspettiamo. sconosciuti che entreranno in relazione con me, nostro reciproco malgrado. chissà cosa si aspettano dal loro soggiorno? chissà se gli interesserà scambiare quattro chiacchiere con me, o se saranno come tanti altri cosiddetti viaggiatori "evoluti", che sanno già tutto e che mi considereranno una inevitabile seccatura. l'ultimo di questi mi ha chiesto se avevo un carica batterie per il suo cellulare. gli ho prestato il mio, e poi se lo è portato via. dovrò ricomprarmelo. alcuni arrivano nervosi, stanchi del viaggio. mi dimentico della mia levataccia e gli offro il mio miglior sorriso, chissà se così si sentiranno più leggeri, come a casa? torno alla lista degli ospiti, rileggo la corrispondenza, i servizi richiesti, il tipo di camera e il prezzo pattuito. assegno loro la camera che, per mia esperienza, reputo la più adatta ad ognuno. contatto i reparti per verificare che le comunicazioni di servizio corrispondano. "ciao tania, la frutta al signor bianchi, in arrivo alla 112, va bene se la porti alle 17.00?" "jeanne, ti ricordi che il signor rossi, della 214, è allergico alla polvere?". un uomo di affari è arrivato verso sera, gli consiglio un buon ristorante tradizionale. al bar chiacchiero con lui di vini e di donne. sembriamo vecchi amici. mi sveglio nuovamente alle cinque, oggi piove e fa meno freddo, meno male. oggi partono alcuni degli ospiti arrivati nei giorni scorsi, alcuni non li ho accolti io, ma altri miei colleghi, ma non c'è nessuna differenza, siamo come una famiglia, ci intendiamo al volo e abbiamo lo stesso spirito di accoglienza. una coppia tornerà a riprendersi i figli lasciati dai nonni per farsi una fuga romantica. sono stati bene, e io sono felice che abbiano potuto dedicare del tempo a se stessi, coccolandosi e rilassandosi nella vasca idromassaggio nella loro camera. magari riuscirò a farlo anch'io, quando avrò un weekend libero. un'altra coppia è nervosa. la cameriera mi ha detto che li sente litigare tutte le mattine. sono sempre molto freddi e musoni quando vengono a lasciare la chiave per uscire. sono stati quattro notti e mai una lamentela. tra qualche giorno avrò letto una recensione negativa perché il personale sorride "forzosamente", "nonostante il prezzo della camera non sia basso". mi chiedo perché certe persone si aspettano che anche i sorrisi siano a pagamento. capisco però perché, tutte le volte che gli abbiamo sorriso, avevano quello sguardo sospettoso, come se l'avessimo fatto per interesse, e per questo i nostri sorrisi erano sempre un po' timidi. risponderò alla recensione scusandomi con loro: non siamo stati in grado di capirli. il mio lavoro è fatto di tanti sacrifici. quante notti, domeniche, natali, capodanni passati al banco della reception. quante nottate a studiare per imparare meglio cosa fare e come. l'albergo è come un cigno maestoso, elegante e leggero sul velo d'acqua, ma sotto, le sue zampe agitano l'acqua con energia e forza, senza sosta, per regalarci la sua danza straordinaria. gli ospiti vedono la danza, quasi sempre gli piace. alcune volte no. Ma le mie zampe continueranno a frullare sott'acqua, perché amo danzare per i miei ospiti.
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lunedì 24 dicembre 2012
Abbastanza grandi
[fiaba per la vigilia di Natale, di Silvia Messa]
Erano abbastanza grandi. La mamma aveva detto così, quell’autunno. Abbastanza grandi per prendere la metropolitana e andare a scuola da soli. Erano poche fermate, ma lei non poteva più accompagnarli. Usciva presto la mattina, per il lavoro nuovo.
Lasciava il latte da scaldare, dentro il microonde. E due brioches tristi, nella confezione di plastica. Le cose nel cellophane sono tristi. Non liberano il loro odore nell’aria. Le apri e sono quasi senza sapore. Bisognava aspettare la domenica, quando mamma cuoceva la torta e il pomeriggio profumava di tè alla vaniglia e cioccolata. Ma era un bel po’, a pensarci, che mamma non aveva tempo per fare la torta. Spesso, Bet sacrificava la mancia della nonna per comprare brioches calde, al bar dei cinesi. Cris prendeva quella al cioccolato, sporcandosi regolarmente labbra e faccia. A lei, invece, piaceva la brioche alla crema. Sapeva di cose burrose. E di vaniglia, come la domenica. Il sapore le restava in bocca, mentre camminavano verso le elementari.
Lì, finiva il viaggio con il fratello. Il suo proseguiva oltre il parchetto e il viale con la filovia, fino al comprensorio delle superiori, un po’ cemento, un po’ murales. Era il primo anno del ginnasio, per lei. Materie nuove, difficili. Quell’alfabeto vecchio e lontano, in cui neanche Indiana Jones avrebbe capito qualcosa. Il pomeriggio, per far passare il tempo prima che uscisse Cris, restava in biblioteca. Poi andava al parchetto.
Sedeva su una panchina, ancora tiepida di sole, e guardava i disegni dei bambini, coi gessetti colorati, sull’impiantito scuro sotto le altalene. Bet era grande, ma a volte prendeva un pezzo di gesso a scuola e scriveva anche lei per terra: lettere greche, ma parole in una lingua tutta sua, che sperava fosse solo lei a capire. Perché così poteva scrivere cose segrete. Come il nome del compagno dell’ultimo banco, che le prestava sempre le matite. E il suo nome, ma intero. Elisabeth, lo stesso della nonna, nata in Galles. Alla nonna nessuno aveva mai osato abbreviare il nome. Con lei, invece, non si facevano problemi. Bet… Qualcuno la prendeva in giro, a scuola, perché bet significa scommessa, in inglese. L’idea delle scommesse non le piaceva. Ma quella di un colpo di fortuna, sì, moltissimo.
Insomma, le piaceva pensare che prima o poi qualcosa di bello sarebbe capitato. Qualcosa come un part-time super retribuito per la mamma. O una valigia anonima, piena di soldoni, davanti alla porta di casa. O un apparecchio per i denti per Cris, portato in volo da un passero generoso.
Sognava la fortuna, quel pomeriggio. Non quella che la gente invocava, giocando per ore con le slot machine. Li vedeva, uomini e donne concentrati, nel bar dei cinesi, ripetere lo stesso gesto come automi, sperando che la macchina infernale vomitasse una pioggia di monetine.
C’era bisogno di un po’ di fortuna, lo sapeva. Era un periodo difficile, per la sua famiglia. E per tante persone che conosceva: ci sarebbe voluta un po’ di speranza per tutti. Un futuro migliore, un anno nuovo, quello che stava per arrivare. Il sole, la primavera.
Invece, era davvero inverno. Le giornate erano diventate brevissime. La scuola di Cris era finita da meno di un’ora e già imbruniva. Le rare foglie rimaste sui rami dei platani stampavano larghe ombre scure, sull’asfalto, sotto la luce dei lampioni. La terra era dura, gelata. Bet la sentiva, sotto le scarpe, risuonare come un guscio vuoto.
Cris le camminava accanto. La mamma pretendeva che lui le desse la mano, per strada. Ma suo fratello si sentiva ormai grande e non voleva farlo. Eppure, quando c’era una strada da attraversare, a entrambi veniva d’istinto cercarsi, con le mani. Come se quel contatto potesse salvarli dai pericoli del traffico.
«Scendiamo?» propose Cris. Buio per buio, visto che fuori era ormai notte, scelsero di percorrere la lunga galleria sporca che attraversava la piazza, sotto i porticati, fino alla stazione della metro. Si allineavano cancelli chiusi e serrande abbassate, come occhi addormentati. Dalle vetrine lerce di un negozio, vuoto da anni, occhieggiavano adesivi di pesci e tartarughe, fantasmi di una bottega di acquari, che ormai nuotavano solo in un mare di polvere.
Sul fianco della galleria si apriva un altro tunnel, che portava al mezzanino del metro. In quel pezzo di corridoio gelido, Cris si fermò. «C’è un drago, lì».
Bet seguì lo sguardo del fratello. Su una piccola vetrina spiccava una bandiera gialla e verde, su cui campeggiava un drago cane dorato. Custodiva il negozio. I ragazzi ne osservarono l’interno. Era affollato di uomini con la pelle scura. C’erano anche un paio di donne, sedute su due sgabelli. Sul bancone, stava una piantina di plastica. Tutt’attorno, sulle pareti, scaffali di libri, videocassette, dvd. A ridosso della vetrina, una teca di vetro ingombra di collane, bracciali, orecchine, ampolline e cianfrusaglie. E un altro scaffale, stipato di cd: migliaia di facce brune e vestiti variopinti li fissavano dalle copertine. Alcune custodie si erano infilate tra ripiani e vetrina. I cantanti giacevano storti e a testa in giù, destinati a probabile nausea e certissimo oblio.
Lo sguardo dei ragazzi si spinse all’interno, fin dietro il bancone.
Un signore scuro, con un cappello di seta verde, cangiante, intercettò gli sguardi curiosi e sorrise. Aveva gli occhi nocciola, luminosi, e denti candidi, perfetti.
Accennò un richiamo, con la mano. «Venite!» disse, muovendo appena le labbra.
Bet sentì che Cris cercava la sua mano, come per attraversare la strada. Entrarono nel negozio.
Nonostante la quantità di merce esposta e il numero dei clienti, l’aria aveva un buon odore. Non c’era traccia di polvere, anche negli angoli dove i libri e gli oggetti sembravano dimenticati da anni.
«Tè?». Il bottegaio indicò due bicchierini smaltati di rosso e oro, da cui si sollevava un leggero vapore.
«No, grazie!». I fratelli risposero all’unisono. La mamma era categorica: mai accettare cibo o bevande dagli sconosciuti.
«Che cosa posso fare per voi?».
Bet si guardò attorno. Se il greco era ostico, i caratteri sui cartelli e sulle copertine le erano del tutto sconosciuti. Roba aliena.
«Temo che lei non abbia niente per noi».
L’uomo sorrise. «Cris… Ti chiami Cris, vero? Fammi vedere le tue mani».
Il bambino le appoggiò sul bancone.
«Mmm, piccole dita. Dovresti riuscirci».
Bet era in ansia: come sapeva il nome di suo fratello quell’uomo? E la faccenda delle piccole dita le fece venire in mente il telegiornale e le immagini dei bambini schiavi, costretti a rinunciare al gioco e allo studio per intrecciare i nodi dei tappeti. Con le loro piccole dita.
L’uomo colse un’ombra sul viso della ragazzina. «Non temete. Vorrei solo chiedere a Cris una cortesia: recuperare con le sue dita sottili quel cd incastrato là, contro la vetrina. Indicò a Cris un cd con un uomo in copertina, con la barba scura, vestito di verde e d’oro.
Il ragazzino infilò la mano dietro il ripiano ed estrasse il cd. Altri, che stavano appoggiati in equilibrio precario, scivolarono verso il basso e si assestarono, in un nuovo disordine.
«A te, Bet, serve questo». Le porse un’ampollina verde, piccolissima e fragile.
«Che cos’è?».
«Non posso spiegartelo nella tua lingua. Non c’è una parola adatta. Ma lo scoprirete facilmente».
«Non abbiamo soldi». Bet mentì. Aveva in tasca qualche euro, ma non era sicura di volerli spendere per quelle cose. L’uomo sembrò riconoscere la bugia.
«Me li darete la prossima volta. Se sarete soddisfatti». Tese a Bet l’ampollina. Lei la mise nella tasca della giacca. Non quella con le monete. Il cd fu affidato a Cris, che lo infilò nello zaino, tra i quaderni. I fratelli indietreggiarono, inciampando nello sgabello di plastica verde, che stava accanto all’uscita.
«Allora, vi aspetto». L’uomo alzò la mano in un gesto di saluto. E loro risposero, nello stesso modo.
Fuori dalla bottega, camminarono rapidi verso la metro. Non parlarono tra loro. Il dubbio di aver fatto qualcosa di sbagliato o stupido era forte.
Fu Bet a dire: «In fondo, è solo un cd. E l’ampollina la posso buttare». Ma le sue parole non le sentì nessuno, nel rumore del treno che frenava, lungo la banchina della stazione.
A casa, era buio. Le tapparelle erano rimaste abbassate, dal mattino.
«Povere piante» pensò Cris, che a scuola stavo studiando la sintesi clorofilliana.
Estrasse il cd dallo zaino e lo appoggiò sul tavolo. Lo aprì, con cautela.
Dentro, non c’era il solito disco d’argento. Ma una specie di cartone, poroso.
«Questo non lo legge il lettore cd. Sicuro».
Bet lo sfiorò con la punta delle dita. «Sembra terra».
«Magari va bagnata, come la terra dei vasi». Per quanto strampalata, l’idea di Cris aveva una sua logica.
Bet pensò che c’era del liquido nell’ampollina. E che si poteva usarlo per bagnare il disco.
Svitò piano il tappo a biglia, dorato. Il liquido non aveva colore, ma emanava un profumo delicato, di gelsomino. La ragazza ne lasciò gocciolare una piccola parte sul disco.
«E adesso?» chiese al fratello.
Dopo qualche secondo, il disco parve animarsi. Si rigonfiò e pulsò di luce verde. Poi cominciarono a spuntarne tralci, che si allungavano sinuosamente in ogni direzione. Nell’aria, si diffuse il profumo di gelsomino. E s’ispessì, moltiplicandosi in aromi penetranti e sconosciuti.
«Frangipane» riconobbe Bet, che aveva un sapone, in bagno, con quel profumo delizioso.
L’aria si fece umida, greve, mentre la vegetazione s’infittiva.
In sottofondo, cominciò a udirsi una musica. Sembrava una chitarra, ma il suono era diverso dal solito. Come se le corde fossero mille, vibranti in una strana armonia.
«Sitar!». Cris ricordò di averne sentito il suono in una canzone dei Beatles, dalla nonna.
Altri rumori si distinsero, poco a poco: fruscii, sibili, ciangottii, un frinire insistente.
Poi, echeggiò un grido.
Da dietro il divano, ormai ricoperto da un rigoglioso groviglio di foglie lucide, sbucò di colpo una scimmia, con il muso appuntito e un folto ciuffo di peli chiari sulla testa. Si avvicinò, guardinga, ai ragazzi e tese una zampetta toccando la gamba di Cris.
L’animale sembrava amichevole. Bet stava per accarezzarlo, quando dal fitto delle piante sentì un ringhio. La scimmietta, spaventata, s’infilò tra le foglie e sparì.
Da una felce spuntò un grosso muso. Sembrava il drago cane della bandiera della bottega. Ma vivo, in carne ed ossa. I ragazzi erano paralizzati dal terrore.
Poi, incredibilmente, il drago sorrise. I fratelli non avevano mai visto un drago cane. Né, tantomeno, un drago cane sorridente. Ma il sorriso, sul suo muso zannuto, era riconoscibilissimo.
«Salute a voi!» disse, amichevole. «Quella scimmia vi avrebbe fatto un dispetto. O rubato qualcosa».
«E tu? Cosa ci farai?» Cris prese coraggio, anche se la voce gli usciva stridula, dalla gola.
«Io porto solo bellezza. E protezione». La grossa bestia alzò il muso e attraversò la stanza, ormai irriconoscibile, così invasa da piante com’era. La musica del sitar si era fatta più forte. Ma tra le note bet udì qualcosa di stonato: il citofono.
«La mamma! Chiudi il cd, Cris. Subito!».
Il ragazzino si lanciò sul disco, abbassando di botto il coperchio di plastica, mentre la sorella correva a rispondere e ad aprire.
Appena il disco fu chiuso, le piante scomparvero. Del drago cane non c’era più traccia. I ragazzi fecero sparire cd e ampollina, mentre la mamma entrava in casa.
A cena, furono particolarmente silenziosi. Solo dopo, in camera, iniziarono a discutere, a bassa voce.
«Domani lo riportiamo al negozio» concluse Bet. «Ti immagini se la mamma si fosse trovata la giungla, al posto del soggiorno? E il drago, poi! Lei che non vuole tenere neppure un cane». Cris non seppe come controbattere. Si addormentò a fatica, cullato dal ricordo dell’armonia del sitar.
Il giorno dopo, finita la scuola, i ragazzi si precipitarono nella bottega del mezzanino.
L’uomo scuro li aspettava, con il solito cappello verde e il sorriso di chi sa tutto.
«Siete venuti per un nuovo noleggio?»
«Gliel’abbiamo riportato, il cd. E l’ampolla. Non li vogliamo». Bet tirò fuori tutta la sua determinazione.
«Avete avuto paura?» chiese il bottegaio, con espressione preoccupata.
«No! Sì... Un po’» ammise Bet.
«Ma era meraviglioso, quel mondo» aggiunse Cris, sognante.
«Allora, ragazzi, forse dovreste solo cambiare cd. Il mare vi piace?». Allungò sul bancone un nuovo disco: una fanciulla con un sari rosa danzava sulla battigia, a piedi scalzi, in copertina. E accanto al disco, l’uomo fece scivolare un’altra ampollina, blu.
«Ma la mamma? Che cosa dirà?». Bet era piena di dubbi.
«Domani è Natale» l’uomo la rassicurò, «sarà felice anche lei di trovarsi in una bella fiaba».
I ragazzi presero il disco. Bet lasciò sul banco i soldi che avrebbe speso per le brioches. «Ho solo questi» si scusò.
«Vanno benissimo». Il bottegaio infilò le monete in un salvadanaio di coccio, dorato. Era la testa di un drago cane.
Bet aveva appoggiato la mano sulla maniglia, per uscire dalla bottega, quando Cris si fermò.
«Ma chi sei, tu?». Il ragazzino guardò fisso negli occhi l’uomo. Anche Bet lo scrutava.
«Non può fare tutto da solo, il capo». Il bottegaio inclinò il capo e fece l’occhiolino.
«Il capo?» Cris non capiva.
«Ma sì, Babbo. Su, a Nord».
I ragazzi tacquero, meravigliati. Poi Bet aprì la porta del negozio, con gentilezza.
Tintinnò una campanellina, sul battente. E loro, finalmente, la riconobbero.
Silvia Messa, 20 dicembre 2012
[fiaba per la vigilia di Natale, di Silvia Messa]
Per Chiara e Carolina. E i ragazzi che crescono in un mondo difficile.
Erano abbastanza grandi. La mamma aveva detto così, quell’autunno. Abbastanza grandi per prendere la metropolitana e andare a scuola da soli. Erano poche fermate, ma lei non poteva più accompagnarli. Usciva presto la mattina, per il lavoro nuovo.
Lasciava il latte da scaldare, dentro il microonde. E due brioches tristi, nella confezione di plastica. Le cose nel cellophane sono tristi. Non liberano il loro odore nell’aria. Le apri e sono quasi senza sapore. Bisognava aspettare la domenica, quando mamma cuoceva la torta e il pomeriggio profumava di tè alla vaniglia e cioccolata. Ma era un bel po’, a pensarci, che mamma non aveva tempo per fare la torta. Spesso, Bet sacrificava la mancia della nonna per comprare brioches calde, al bar dei cinesi. Cris prendeva quella al cioccolato, sporcandosi regolarmente labbra e faccia. A lei, invece, piaceva la brioche alla crema. Sapeva di cose burrose. E di vaniglia, come la domenica. Il sapore le restava in bocca, mentre camminavano verso le elementari.
Lì, finiva il viaggio con il fratello. Il suo proseguiva oltre il parchetto e il viale con la filovia, fino al comprensorio delle superiori, un po’ cemento, un po’ murales. Era il primo anno del ginnasio, per lei. Materie nuove, difficili. Quell’alfabeto vecchio e lontano, in cui neanche Indiana Jones avrebbe capito qualcosa. Il pomeriggio, per far passare il tempo prima che uscisse Cris, restava in biblioteca. Poi andava al parchetto.
Sedeva su una panchina, ancora tiepida di sole, e guardava i disegni dei bambini, coi gessetti colorati, sull’impiantito scuro sotto le altalene. Bet era grande, ma a volte prendeva un pezzo di gesso a scuola e scriveva anche lei per terra: lettere greche, ma parole in una lingua tutta sua, che sperava fosse solo lei a capire. Perché così poteva scrivere cose segrete. Come il nome del compagno dell’ultimo banco, che le prestava sempre le matite. E il suo nome, ma intero. Elisabeth, lo stesso della nonna, nata in Galles. Alla nonna nessuno aveva mai osato abbreviare il nome. Con lei, invece, non si facevano problemi. Bet… Qualcuno la prendeva in giro, a scuola, perché bet significa scommessa, in inglese. L’idea delle scommesse non le piaceva. Ma quella di un colpo di fortuna, sì, moltissimo.
Insomma, le piaceva pensare che prima o poi qualcosa di bello sarebbe capitato. Qualcosa come un part-time super retribuito per la mamma. O una valigia anonima, piena di soldoni, davanti alla porta di casa. O un apparecchio per i denti per Cris, portato in volo da un passero generoso.
Sognava la fortuna, quel pomeriggio. Non quella che la gente invocava, giocando per ore con le slot machine. Li vedeva, uomini e donne concentrati, nel bar dei cinesi, ripetere lo stesso gesto come automi, sperando che la macchina infernale vomitasse una pioggia di monetine.
C’era bisogno di un po’ di fortuna, lo sapeva. Era un periodo difficile, per la sua famiglia. E per tante persone che conosceva: ci sarebbe voluta un po’ di speranza per tutti. Un futuro migliore, un anno nuovo, quello che stava per arrivare. Il sole, la primavera.
Invece, era davvero inverno. Le giornate erano diventate brevissime. La scuola di Cris era finita da meno di un’ora e già imbruniva. Le rare foglie rimaste sui rami dei platani stampavano larghe ombre scure, sull’asfalto, sotto la luce dei lampioni. La terra era dura, gelata. Bet la sentiva, sotto le scarpe, risuonare come un guscio vuoto.
Cris le camminava accanto. La mamma pretendeva che lui le desse la mano, per strada. Ma suo fratello si sentiva ormai grande e non voleva farlo. Eppure, quando c’era una strada da attraversare, a entrambi veniva d’istinto cercarsi, con le mani. Come se quel contatto potesse salvarli dai pericoli del traffico.
«Scendiamo?» propose Cris. Buio per buio, visto che fuori era ormai notte, scelsero di percorrere la lunga galleria sporca che attraversava la piazza, sotto i porticati, fino alla stazione della metro. Si allineavano cancelli chiusi e serrande abbassate, come occhi addormentati. Dalle vetrine lerce di un negozio, vuoto da anni, occhieggiavano adesivi di pesci e tartarughe, fantasmi di una bottega di acquari, che ormai nuotavano solo in un mare di polvere.
Sul fianco della galleria si apriva un altro tunnel, che portava al mezzanino del metro. In quel pezzo di corridoio gelido, Cris si fermò. «C’è un drago, lì».
Bet seguì lo sguardo del fratello. Su una piccola vetrina spiccava una bandiera gialla e verde, su cui campeggiava un drago cane dorato. Custodiva il negozio. I ragazzi ne osservarono l’interno. Era affollato di uomini con la pelle scura. C’erano anche un paio di donne, sedute su due sgabelli. Sul bancone, stava una piantina di plastica. Tutt’attorno, sulle pareti, scaffali di libri, videocassette, dvd. A ridosso della vetrina, una teca di vetro ingombra di collane, bracciali, orecchine, ampolline e cianfrusaglie. E un altro scaffale, stipato di cd: migliaia di facce brune e vestiti variopinti li fissavano dalle copertine. Alcune custodie si erano infilate tra ripiani e vetrina. I cantanti giacevano storti e a testa in giù, destinati a probabile nausea e certissimo oblio.
Lo sguardo dei ragazzi si spinse all’interno, fin dietro il bancone.
Un signore scuro, con un cappello di seta verde, cangiante, intercettò gli sguardi curiosi e sorrise. Aveva gli occhi nocciola, luminosi, e denti candidi, perfetti.
Accennò un richiamo, con la mano. «Venite!» disse, muovendo appena le labbra.
Bet sentì che Cris cercava la sua mano, come per attraversare la strada. Entrarono nel negozio.
Nonostante la quantità di merce esposta e il numero dei clienti, l’aria aveva un buon odore. Non c’era traccia di polvere, anche negli angoli dove i libri e gli oggetti sembravano dimenticati da anni.
«Tè?». Il bottegaio indicò due bicchierini smaltati di rosso e oro, da cui si sollevava un leggero vapore.
«No, grazie!». I fratelli risposero all’unisono. La mamma era categorica: mai accettare cibo o bevande dagli sconosciuti.
«Che cosa posso fare per voi?».
Bet si guardò attorno. Se il greco era ostico, i caratteri sui cartelli e sulle copertine le erano del tutto sconosciuti. Roba aliena.
«Temo che lei non abbia niente per noi».
L’uomo sorrise. «Cris… Ti chiami Cris, vero? Fammi vedere le tue mani».
Il bambino le appoggiò sul bancone.
«Mmm, piccole dita. Dovresti riuscirci».
Bet era in ansia: come sapeva il nome di suo fratello quell’uomo? E la faccenda delle piccole dita le fece venire in mente il telegiornale e le immagini dei bambini schiavi, costretti a rinunciare al gioco e allo studio per intrecciare i nodi dei tappeti. Con le loro piccole dita.
L’uomo colse un’ombra sul viso della ragazzina. «Non temete. Vorrei solo chiedere a Cris una cortesia: recuperare con le sue dita sottili quel cd incastrato là, contro la vetrina. Indicò a Cris un cd con un uomo in copertina, con la barba scura, vestito di verde e d’oro.
Il ragazzino infilò la mano dietro il ripiano ed estrasse il cd. Altri, che stavano appoggiati in equilibrio precario, scivolarono verso il basso e si assestarono, in un nuovo disordine.
«A te, Bet, serve questo». Le porse un’ampollina verde, piccolissima e fragile.
«Che cos’è?».
«Non posso spiegartelo nella tua lingua. Non c’è una parola adatta. Ma lo scoprirete facilmente».
«Non abbiamo soldi». Bet mentì. Aveva in tasca qualche euro, ma non era sicura di volerli spendere per quelle cose. L’uomo sembrò riconoscere la bugia.
«Me li darete la prossima volta. Se sarete soddisfatti». Tese a Bet l’ampollina. Lei la mise nella tasca della giacca. Non quella con le monete. Il cd fu affidato a Cris, che lo infilò nello zaino, tra i quaderni. I fratelli indietreggiarono, inciampando nello sgabello di plastica verde, che stava accanto all’uscita.
«Allora, vi aspetto». L’uomo alzò la mano in un gesto di saluto. E loro risposero, nello stesso modo.
Fuori dalla bottega, camminarono rapidi verso la metro. Non parlarono tra loro. Il dubbio di aver fatto qualcosa di sbagliato o stupido era forte.
Fu Bet a dire: «In fondo, è solo un cd. E l’ampollina la posso buttare». Ma le sue parole non le sentì nessuno, nel rumore del treno che frenava, lungo la banchina della stazione.
A casa, era buio. Le tapparelle erano rimaste abbassate, dal mattino.
«Povere piante» pensò Cris, che a scuola stavo studiando la sintesi clorofilliana.
Estrasse il cd dallo zaino e lo appoggiò sul tavolo. Lo aprì, con cautela.
Dentro, non c’era il solito disco d’argento. Ma una specie di cartone, poroso.
«Questo non lo legge il lettore cd. Sicuro».
Bet lo sfiorò con la punta delle dita. «Sembra terra».
«Magari va bagnata, come la terra dei vasi». Per quanto strampalata, l’idea di Cris aveva una sua logica.
Bet pensò che c’era del liquido nell’ampollina. E che si poteva usarlo per bagnare il disco.
Svitò piano il tappo a biglia, dorato. Il liquido non aveva colore, ma emanava un profumo delicato, di gelsomino. La ragazza ne lasciò gocciolare una piccola parte sul disco.
«E adesso?» chiese al fratello.
Dopo qualche secondo, il disco parve animarsi. Si rigonfiò e pulsò di luce verde. Poi cominciarono a spuntarne tralci, che si allungavano sinuosamente in ogni direzione. Nell’aria, si diffuse il profumo di gelsomino. E s’ispessì, moltiplicandosi in aromi penetranti e sconosciuti.
«Frangipane» riconobbe Bet, che aveva un sapone, in bagno, con quel profumo delizioso.
L’aria si fece umida, greve, mentre la vegetazione s’infittiva.
In sottofondo, cominciò a udirsi una musica. Sembrava una chitarra, ma il suono era diverso dal solito. Come se le corde fossero mille, vibranti in una strana armonia.
«Sitar!». Cris ricordò di averne sentito il suono in una canzone dei Beatles, dalla nonna.
Altri rumori si distinsero, poco a poco: fruscii, sibili, ciangottii, un frinire insistente.
Poi, echeggiò un grido.
Da dietro il divano, ormai ricoperto da un rigoglioso groviglio di foglie lucide, sbucò di colpo una scimmia, con il muso appuntito e un folto ciuffo di peli chiari sulla testa. Si avvicinò, guardinga, ai ragazzi e tese una zampetta toccando la gamba di Cris.
L’animale sembrava amichevole. Bet stava per accarezzarlo, quando dal fitto delle piante sentì un ringhio. La scimmietta, spaventata, s’infilò tra le foglie e sparì.
Da una felce spuntò un grosso muso. Sembrava il drago cane della bandiera della bottega. Ma vivo, in carne ed ossa. I ragazzi erano paralizzati dal terrore.
Poi, incredibilmente, il drago sorrise. I fratelli non avevano mai visto un drago cane. Né, tantomeno, un drago cane sorridente. Ma il sorriso, sul suo muso zannuto, era riconoscibilissimo.
«Salute a voi!» disse, amichevole. «Quella scimmia vi avrebbe fatto un dispetto. O rubato qualcosa».
«E tu? Cosa ci farai?» Cris prese coraggio, anche se la voce gli usciva stridula, dalla gola.
«Io porto solo bellezza. E protezione». La grossa bestia alzò il muso e attraversò la stanza, ormai irriconoscibile, così invasa da piante com’era. La musica del sitar si era fatta più forte. Ma tra le note bet udì qualcosa di stonato: il citofono.
«La mamma! Chiudi il cd, Cris. Subito!».
Il ragazzino si lanciò sul disco, abbassando di botto il coperchio di plastica, mentre la sorella correva a rispondere e ad aprire.
Appena il disco fu chiuso, le piante scomparvero. Del drago cane non c’era più traccia. I ragazzi fecero sparire cd e ampollina, mentre la mamma entrava in casa.
A cena, furono particolarmente silenziosi. Solo dopo, in camera, iniziarono a discutere, a bassa voce.
«Domani lo riportiamo al negozio» concluse Bet. «Ti immagini se la mamma si fosse trovata la giungla, al posto del soggiorno? E il drago, poi! Lei che non vuole tenere neppure un cane». Cris non seppe come controbattere. Si addormentò a fatica, cullato dal ricordo dell’armonia del sitar.
Il giorno dopo, finita la scuola, i ragazzi si precipitarono nella bottega del mezzanino.
L’uomo scuro li aspettava, con il solito cappello verde e il sorriso di chi sa tutto.
«Siete venuti per un nuovo noleggio?»
«Gliel’abbiamo riportato, il cd. E l’ampolla. Non li vogliamo». Bet tirò fuori tutta la sua determinazione.
«Avete avuto paura?» chiese il bottegaio, con espressione preoccupata.
«No! Sì... Un po’» ammise Bet.
«Ma era meraviglioso, quel mondo» aggiunse Cris, sognante.
«Allora, ragazzi, forse dovreste solo cambiare cd. Il mare vi piace?». Allungò sul bancone un nuovo disco: una fanciulla con un sari rosa danzava sulla battigia, a piedi scalzi, in copertina. E accanto al disco, l’uomo fece scivolare un’altra ampollina, blu.
«Ma la mamma? Che cosa dirà?». Bet era piena di dubbi.
«Domani è Natale» l’uomo la rassicurò, «sarà felice anche lei di trovarsi in una bella fiaba».
I ragazzi presero il disco. Bet lasciò sul banco i soldi che avrebbe speso per le brioches. «Ho solo questi» si scusò.
«Vanno benissimo». Il bottegaio infilò le monete in un salvadanaio di coccio, dorato. Era la testa di un drago cane.
Bet aveva appoggiato la mano sulla maniglia, per uscire dalla bottega, quando Cris si fermò.
«Ma chi sei, tu?». Il ragazzino guardò fisso negli occhi l’uomo. Anche Bet lo scrutava.
«Non può fare tutto da solo, il capo». Il bottegaio inclinò il capo e fece l’occhiolino.
«Il capo?» Cris non capiva.
«Ma sì, Babbo. Su, a Nord».
I ragazzi tacquero, meravigliati. Poi Bet aprì la porta del negozio, con gentilezza.
Tintinnò una campanellina, sul battente. E loro, finalmente, la riconobbero.
Silvia Messa, 20 dicembre 2012
mercoledì 19 dicembre 2012
che strano come poteva sembrare così vuoto un letto tanto stretto.
da Fino alla fine del mondo - 6 - di Sphera
da Fino alla fine del mondo - 6 - di Sphera
sabato 15 dicembre 2012
"Am Ende wird alles gut, und wenn's nicht gut wird, dann ist es noch nicht das Ende" (Alla fine tutto va bene, e se non va bene, allora non è ancora la fine)
(Scritta su un muro della metropolitana di Kottbusser Tor)
cit. da Cadavrexquis
(Scritta su un muro della metropolitana di Kottbusser Tor)
cit. da Cadavrexquis
lunedì 10 dicembre 2012
Dopo una dura giornata di lavoro, chiedo a mio marito di mettere lui a dormire nostra figlia di due anni. Un quarto d’ora dopo, la bimba compare in sala e mi dice: “Papà nanna”.
da VDM, riproposto in versione italiana da Blogorrea
da VDM, riproposto in versione italiana da Blogorrea
giovedì 6 dicembre 2012
il puro pensiero, per ragioni che nessuno saprebbe spiegare completamente, riesce ogni tanto a intravvedere qualche frammento della trama di cui è fatto il cosmo
...
la maggior parte delle persone non sa – perché non glielo hanno mai spiegato – che ci si può emozionare per aver sbirciato dentro i meccanismi che governano l’universo
Keplero
(grazie alla segnalazione di Pezzi di vetro)
...
la maggior parte delle persone non sa – perché non glielo hanno mai spiegato – che ci si può emozionare per aver sbirciato dentro i meccanismi che governano l’universo
Keplero
(grazie alla segnalazione di Pezzi di vetro)
martedì 4 dicembre 2012
“con cariño se hace el espacio”, cioè: quando c’è l’affetto lo spazio si trova. Anzi: ‘con l’affetto lo spazio si crea’.
Zoe
Zoe
sabato 1 dicembre 2012
#nerdcompliments
- non mi baci mai.
- non è vero! non solo ti bacio in continuazione ma con l’ultimo aggiornamento di ios sono state espanse le tastiere emoji e quindi ora ti bacio anche in tre nuove maniere: occhi chiusi, occhi aperti, gatto imbarazzato!
- io intendevo dal vivo, cretino, baci dal vivo. in questo di mondo.
- ah.
arsenio
- non mi baci mai.
- non è vero! non solo ti bacio in continuazione ma con l’ultimo aggiornamento di ios sono state espanse le tastiere emoji e quindi ora ti bacio anche in tre nuove maniere: occhi chiusi, occhi aperti, gatto imbarazzato!
- io intendevo dal vivo, cretino, baci dal vivo. in questo di mondo.
- ah.
arsenio
lunedì 26 novembre 2012
Gli è che quando il dentista ti ha anestetizzato mezza bocca non dovresti proprio leggere certe cose sul socialino mentre sei in un luogo pubblico perché l'effetto è quello della vecchia babbiona con la faccia deforme che sghignazza con la metà mobile e cerca di impedire al filino di bava di colare dalla metà immobile.
Batchiara
Batchiara
domenica 25 novembre 2012
ultim'ora: il papa ha dichiarato che il bue e l'asinello non erano nella stalla con gesù nella notte di natale.
dov'erano, forse ad avetrana con zio michele? giotto quindi dovrebbe cancellarli dalla sua 'natività' nella cappella degli scrovegni con photoshop? ma soprattutto chi ci pensa ora a ricollocarli nel mondo del lavoro?
Millevocidentro
dov'erano, forse ad avetrana con zio michele? giotto quindi dovrebbe cancellarli dalla sua 'natività' nella cappella degli scrovegni con photoshop? ma soprattutto chi ci pensa ora a ricollocarli nel mondo del lavoro?
Millevocidentro
venerdì 23 novembre 2012
- Bon, ho confermato in segreteria che domani sono in sciopero
- Sei sexy quando fai il comunista!
- È pure tutto il giorno che fischietto l'inno dell'URSS
- Wow! Ora mi strappo le mutande!
- Asta la revoluction! (Asta non è un refuso)
Marco Beccaria su ff
lunedì 19 novembre 2012
Bianco o nero
Noi siamo quelli che sopportano, sopportano, sopportano.
Poi una sera vi facciamo la sorpresa e distruggiamo tutto con quattro parole, da un giorno all’altro. Perché noi non possiamo parlarne un po’ prima, giusto per capire se si può fare qualcosa: non ve lo meritate, nemmeno dopo una vita, perché noi siamo quelli che sopportano, quelli che o è bianco o nero, quelli che se non capite da soli siete condannati all’ignoranza e al dolore che vi procureremo.
È giusto così. Non è colpa nostra, siete voi che parlate troppo. Siete voi che dovevate capire, non ne valeva la pena nemmeno parlarne.
Pubblicato il 3 ottobre 2012 da rillo
Noi siamo quelli che sopportano, sopportano, sopportano.
Poi una sera vi facciamo la sorpresa e distruggiamo tutto con quattro parole, da un giorno all’altro. Perché noi non possiamo parlarne un po’ prima, giusto per capire se si può fare qualcosa: non ve lo meritate, nemmeno dopo una vita, perché noi siamo quelli che sopportano, quelli che o è bianco o nero, quelli che se non capite da soli siete condannati all’ignoranza e al dolore che vi procureremo.
È giusto così. Non è colpa nostra, siete voi che parlate troppo. Siete voi che dovevate capire, non ne valeva la pena nemmeno parlarne.
Pubblicato il 3 ottobre 2012 da rillo
lunedì 12 novembre 2012
la grande ondata inspiegabile di bigottismo
Chiara Geloni, direttore di YouDem, bolla queste reazioni come un’”ondata inspiegabile di bigottismo sul nuovo stile ‘pop’ del sito Pd. Che c’è, siete nervosi per il confronto tv?”.
da il fatto
da il fatto
lunedì 5 novembre 2012
attraversi il Pacifico, fai un colloquio a una ragazza con un curriculum che a Milano le farebbe guadagnare due volte e mezzo quel che prende oggi a Pechino, le chiedi se la sua azienda le dà dei fringe benefit e lei risponde sì, certo, cinque giorni di vacanza all’anno, e ti ritrovi sommerso dall’affascinante e inquietante tsunami dei cinesi che lavorano novanta ore a settimana senza essere Gordon Gekko, e hai a che fare con un signore che senza battere ciglio sborsa trenta milioni di euro per rilevare un esangue marchio di moda italiano tenendone giusto il logo perché al resto ci pensa lui, e Facebook chissenefrega tanto abbiamo Weibo e siamo già in quattrocento milioni e in generale ti pare di sentire intorno a te il vento di quello che temevi potesse essere il futuro e invece è già il presente, allora cominci a pensare che forse dovresti cercare qualche informazione in più sul nuovo Primo Ministro cinese, e che puoi pure risparmiarti la notte in bianco per vedere asinelli blu ed elefanti rossi riempire la cartina dei cinquanta stati
Sir Squonk
Sir Squonk
domenica 28 ottobre 2012
Sai come quando compri le verdure e negli odori gratis c’è il sedano e puntualmente dopo giorni lo butti dato che te ne danno una quantità inutile al fabbisogno, e sempre non sai che fartene di quella frutta rimasta solitaria, non mangiata sulla via della putrefazione a meno che non ci sia una riconversione in marmellata express.
Sai come quando ti affacci e guardi s.correre le vite degli altri con il numero pari (perché te non riesci a fare a meno di rimanere dispari) dove tutto sembra corrispondere, rispondere al ruolo di genere, le mamme i mariti i figli e case il lavoro giusto le famiglie sorridi ma poi non capisci quel nido non lo prendi tra le mani perché ti si frantuma tutto.
Sai come quando aspetti l‘autobus e non passa mai il tuo numero, si sale si scende ma attendi... e magari decidi di fartela a piedi, ovvio, il mezzo desiderato ti sfreccia accanto, ma tu sei sempre a piedi, dunque ci rimani sui due piedi (noi alati non portiamo macchina, i piu fortunati al massimo la bici quando non je la fregano)
Sai come quando stai cercando la tua musica nell’aria che vibra e respira e la trovi pure con scale blues e va bene così anche se ti mancano altri 4 bassi (ne desideriamo dodici ultimamente e tutto il resto annoia)
silevainvolo
Sai come quando ti affacci e guardi s.correre le vite degli altri con il numero pari (perché te non riesci a fare a meno di rimanere dispari) dove tutto sembra corrispondere, rispondere al ruolo di genere, le mamme i mariti i figli e case il lavoro giusto le famiglie sorridi ma poi non capisci quel nido non lo prendi tra le mani perché ti si frantuma tutto.
Sai come quando aspetti l‘autobus e non passa mai il tuo numero, si sale si scende ma attendi... e magari decidi di fartela a piedi, ovvio, il mezzo desiderato ti sfreccia accanto, ma tu sei sempre a piedi, dunque ci rimani sui due piedi (noi alati non portiamo macchina, i piu fortunati al massimo la bici quando non je la fregano)
Sai come quando stai cercando la tua musica nell’aria che vibra e respira e la trovi pure con scale blues e va bene così anche se ti mancano altri 4 bassi (ne desideriamo dodici ultimamente e tutto il resto annoia)
silevainvolo
domenica 21 ottobre 2012
Caro diario, oggi ho fatto un bel giro su una barca che andava a energia solare. Non c'era vento, ma a noi non serviva perché c'era il sole, e nemmeno il succo di dinosauri serviva, sempre perché c'era il sole. Abbiamo visto una regata, ma la regata era ferma e tutti erano arrabbiati perché non c'era vento, ma il sole c'era e se avessero avuto i pannelli solari anche loro avrebbero potuto fare la regata come volevano. Invece sono tornati tutti in porto con le facce scure e bruciando succo di dinosauri.
E allora mi chiedo, perché invece di affannarsi a cercare di superarsi in mezzo al mare - che poi non ho capito superare rispetto a cosa, che c'è solo il mare tutto attorno, e poi non ho neanche capito, se anche arrivi primo: quindi? - perché invece di scalmanarsi e arrabbiarsi per poi tornare a motore, non mettono tutti i pannelli solari sulle loro barche e vanno al largo e fanno il bagno insieme a una che magari si lascia anche baciare e si prendono il sole e si bevono una birra? Questo proprio non riesco mica a capirlo.
http://goo.gl/maps/nK5eb
lunedì 15 ottobre 2012
[arcobaleno]
Bello! Devi seguirlo fino a trovare la pentola d'oro... - Verah
davvero? a me basterebbe anche una padella antiaderente - Nick Lagartijia
Bello! Devi seguirlo fino a trovare la pentola d'oro... - Verah
davvero? a me basterebbe anche una padella antiaderente - Nick Lagartijia
domenica 14 ottobre 2012
«Mio zio Alex Vonnegut, un assicuratore che aveva studiato ad Harvard e che abitava al 5033 di North Pennsylvania Street, mi insegnò una cosa molto importante. Disse che quando le cose vanno davvero bene dovremmo fare in modo di accorgecene. Non parlava di grandi trionfi bensì di semplici epifanie: bere una limonata all’ombra in un pomeriggio afoso, sentire il profumo di una panetteria vicina, pescare e fregarsene se si pesca qualcosa o no, ascoltare qualcuno che suona bene il piano nell’appartamento accanto al nostro.
Zio Alex mi suggeriva, in tali occasioni, di dire a voce alta: ‘Se non è bello questo, cosa mai lo è?’».
Kurt Vonnegut, cit. da Paolo Nori
Zio Alex mi suggeriva, in tali occasioni, di dire a voce alta: ‘Se non è bello questo, cosa mai lo è?’».
Kurt Vonnegut, cit. da Paolo Nori
venerdì 12 ottobre 2012
Il 53% riceve aiuti in denaro da familiari, amici o associazioni di volontariato
Il 17,9% delle persone senza dimora non ha alcuna fonte di reddito, il 28,3% dichiara di ricevere un reddito da lavoro, il 9% un reddito da pensione e l’8,7% un sussidio da ente pubblico; infine, il 27,2% riferisce di ricevere denaro da parenti, amici o familiari e il 37% da estranei (colletta, associazioni di volontariato o altro). La maggior parte delle persone senza dimora (53,4%) riceve quindi aiuto economico dalla rete familiare, parentale o amicale e da estranei e associazioni di volontariato, che, in molti casi, rappresentano l’unica fonte di sostentamento; il 57,6% dichiara, infatti, di avere una sola fonte di reddito. In particolare, il 16,5% delle persone senza dimora ha solamente un reddito proveniente da un’attività lavorativa, il 5,9% da una pensione, il 3,8% da sussidi pubblici; l’11,4% riceve solo aiuti da familiari, amici o parenti e il 20% da persone estranee (colletta, associazioni di volontariato o altro).
Circa un quarto delle persone senza dimora (24,5%) dichiara di avere due o più fonti di reddito; solo l’11,8% ha, tra le fonti, un reddito da lavoro e solo il 4,2% un reddito da pensione e un sussidio pubblico; per il resto si tratta di combinazioni tra aiuti parentali, amicali o di estranei
tratto dallo studio istat sulle persone senza fissa dimora.
Circa un quarto delle persone senza dimora (24,5%) dichiara di avere due o più fonti di reddito; solo l’11,8% ha, tra le fonti, un reddito da lavoro e solo il 4,2% un reddito da pensione e un sussidio pubblico; per il resto si tratta di combinazioni tra aiuti parentali, amicali o di estranei
tratto dallo studio istat sulle persone senza fissa dimora.
mercoledì 10 ottobre 2012
Sforzati di suonare bene i pezzi facili; è molto meglio che eseguire in modo mediocre i pezzi difficili.
da Le regole di Robert Schumann (laflauta)
da Le regole di Robert Schumann (laflauta)
mercoledì 26 settembre 2012
sono quasi certa di aver assistito all'incontro di due amanti, stasera, nel parcheggio dell'IKEA: lei aveva un bel viso felice e un abito aderente color cipria; lui l'ha salutata baciandola e stringendole un gluteo con un gesto che aveva dentro il desiderio, l'urgenza, l'impeto di una mancanza.
availableinblue
availableinblue
venerdì 21 settembre 2012
Mi ha guardato e mi ha detto di togliermeli dalla testa il giusto e l'ingiusto. Di sforzarmi di non dire proprio più queste due parole. Perché così facendo scarico solo le mie responsabilità su altri, mi sollevo da quello che devo fare io e trovo sempre una giustificazione altrove. Cara mia non va così, mi ha detto. Salvo due o tre cose del vivere civile non esistono cose veramente giuste o ingiuste, esistono cose che si vogliono per noi e cose che non si vogliono. Cara mia lo decidi tu, mi ha detto. Ti devi dire questa cosa la voglio, oppure, questa cosa non la voglio.
mastrangelina
mastrangelina
giovedì 13 settembre 2012
Per la decima volta mi chiese se ero proprio sicura di voler restare a Roma completamente da sola. E per la decima volta le dissi di sì.
“Ma sei scema? Qui tra qualche ora sarà come nei film di zombie. Chiude tutto, vanno via tutti. E' ferragosto e si crepa dal caldo, cosa ci fai qui da sola?”
“Preferisco restare qui a studiare, te l'ho detto. Ho molto da recuperare, ma tra qualche giorno prendo l'aereo e torno a casa anch'io”.
Non era vero. Avevo detto così anche alle altre coinquiline, ma avevo già deciso di non partire. Avevo bisogno di stare da sola. Sola con me stessa. Sola con i miei pensieri. Sola nella pace di una casa vuota di una città vuota.
da L'estate è finita - Micol Tommasi
“Ma sei scema? Qui tra qualche ora sarà come nei film di zombie. Chiude tutto, vanno via tutti. E' ferragosto e si crepa dal caldo, cosa ci fai qui da sola?”
“Preferisco restare qui a studiare, te l'ho detto. Ho molto da recuperare, ma tra qualche giorno prendo l'aereo e torno a casa anch'io”.
Non era vero. Avevo detto così anche alle altre coinquiline, ma avevo già deciso di non partire. Avevo bisogno di stare da sola. Sola con me stessa. Sola con i miei pensieri. Sola nella pace di una casa vuota di una città vuota.
da L'estate è finita - Micol Tommasi
lunedì 23 luglio 2012
[...] sotto a tutti i pensieri, schiacciato e tramortito sotto alle tante cose che penso e che ho pensato, e che penserò, proprio lì sotto, sotto a tutto il resto, come un paio di calzini dimenticati da mesi e anni sul fondo della cesta dei panni da lavare, ci sta un dolore. Sta fermo immobile tenuto a posto dal peso di tutto quanto è sopra, ma se svuoto ‘sta cesta, la cesta dei pensieri, dico, magari lui si sveglia e se ne esce fuori, e mi fa paura. Ora però ricomincerò a farlo, credo, a scrivere, dico, almeno un po’, perché se no mi dimentico troppo di quello che penso, di quello che mi piace e che mi emoziona, e di quello che sono, in definitiva.
Zoe
Zoe
venerdì 20 luglio 2012
Se qualcuno vi piace, allargate le fauci in un bel sorriso e diteglielo, se vi sta sul cazzo fatevi ibernare fino a tempi migliori. L'odio non va più, fatevene una ragione, ci sono ottime possibilità che sia l'effetto dello zenzero, o di tutti sti bambini nei paraggi, ma mettete da parte la vostra carica di acidità e regalatevi una risata. Farà bene a voi e a chi vi sta intorno e non dimenticate che magari domani ve risvegliate sotto a 'n cipresso.
Stazzitta
Stazzitta
mercoledì 27 giugno 2012
Mi ha telefonato di nuovo il maniaco sessuale. Si chiedeva perché non l’avessi richiamato, quando gli ho fatto la stessa domanda ha detto che non vuole correre troppo e che non gli devo mettere pressione.
Daniela Ranieri
Daniela Ranieri
domenica 20 maggio 2012
quello che non possiamo pensare (perché non abbiamo le parole per pensarlo) è come se non esistesse.
da Una lingua per le donne di Alessandra Repossi e Francesca Cosi
da Una lingua per le donne di Alessandra Repossi e Francesca Cosi
lunedì 14 maggio 2012
Solo due cifre, solo due.
Equitalia nel 2010 ha riscosso - ma diciamolo pure di pancia: ci ha scippato - circa 9 miliardi di euro.
Tra giochi e scommesse legali, nel 2011, gli italiani hanno speso 70 miliardi di euro. Al netto delle vincite, che ammontano a 53 milioni di euro, restano 17 miliardi che i cittadini hanno volontariamente e allegramente regalato allo Stato. 18, considerando anche la tassazione sulle vincite. Il dato non tiene conto del gioco illegale, che ha un giro d'affari spaventoso. Per dire, si stima che il solo calcio scommesse, tra legale e illegale, l'anno scorso abbia movimentato nel nostro Paese 12 miliardi di euro, contro i 3,5 miliardi risultanti dai dati ufficiali. Il delta tra il gioco legale e quello illegale, cioè i tre quarti del giro di affari reale, va alla delinquenza grande e piccola.
In entrambi i casi, i soldi provengono dalle nostre tasche.
Dal confronto "spannometrico" di questi dati cosa emerge? Che giochi e scommesse ci depredano, su nostra iniziativa e con il nostro pieno consenso, di una ricchezza immensamente più grande di quella coattivamente prelevata da Equitalia. Con la differenza che mentre i soldi riscossi da Equitalia vanno interamente ad alimentare le risorse pubbliche a beneficio di tutti i cittadini, le scommesse e i giochi d'azzardo distribuiscono la parte più consistente dei soldi in maniera sperequativa, non sulla base del bisogno ma del culo, e alimentano la malavita in maniera netta, perché offrono l'opportunità di guadagni stratosferici, facili - senza nemmeno la fatica della delinquenza fisica - e (ma che lo diciamo a fare) esentasse.
Eppure Equitalia viene messa sotto attacco, sequestro, assedio, mentre punti snai, sale bingo, siti internet di scommesse e giochi d'azzardo proliferano e si moltiplicano come metastasi, rappresentando oramai le uniche attività commerciali che aprono laddove il resto chiude e muore, e occupando tutti i vuoti lasciati dalle attività produttive e artigianali falcidiate dalla crisi. In più, non hanno nemmeno la seccatura di forzarci a pagare e di subire i nostri pianti, perché siamo noi che li vogliamo e li paghiamo, alimentandoli con le nostre speranze individualistiche e di quattro soldi.
HangingRock (blogger momentaneamente dispersa)*
[*non si trova ahimè più traccia di gattipazzi.splinder.com]
Equitalia nel 2010 ha riscosso - ma diciamolo pure di pancia: ci ha scippato - circa 9 miliardi di euro.
Tra giochi e scommesse legali, nel 2011, gli italiani hanno speso 70 miliardi di euro. Al netto delle vincite, che ammontano a 53 milioni di euro, restano 17 miliardi che i cittadini hanno volontariamente e allegramente regalato allo Stato. 18, considerando anche la tassazione sulle vincite. Il dato non tiene conto del gioco illegale, che ha un giro d'affari spaventoso. Per dire, si stima che il solo calcio scommesse, tra legale e illegale, l'anno scorso abbia movimentato nel nostro Paese 12 miliardi di euro, contro i 3,5 miliardi risultanti dai dati ufficiali. Il delta tra il gioco legale e quello illegale, cioè i tre quarti del giro di affari reale, va alla delinquenza grande e piccola.
In entrambi i casi, i soldi provengono dalle nostre tasche.
Dal confronto "spannometrico" di questi dati cosa emerge? Che giochi e scommesse ci depredano, su nostra iniziativa e con il nostro pieno consenso, di una ricchezza immensamente più grande di quella coattivamente prelevata da Equitalia. Con la differenza che mentre i soldi riscossi da Equitalia vanno interamente ad alimentare le risorse pubbliche a beneficio di tutti i cittadini, le scommesse e i giochi d'azzardo distribuiscono la parte più consistente dei soldi in maniera sperequativa, non sulla base del bisogno ma del culo, e alimentano la malavita in maniera netta, perché offrono l'opportunità di guadagni stratosferici, facili - senza nemmeno la fatica della delinquenza fisica - e (ma che lo diciamo a fare) esentasse.
Eppure Equitalia viene messa sotto attacco, sequestro, assedio, mentre punti snai, sale bingo, siti internet di scommesse e giochi d'azzardo proliferano e si moltiplicano come metastasi, rappresentando oramai le uniche attività commerciali che aprono laddove il resto chiude e muore, e occupando tutti i vuoti lasciati dalle attività produttive e artigianali falcidiate dalla crisi. In più, non hanno nemmeno la seccatura di forzarci a pagare e di subire i nostri pianti, perché siamo noi che li vogliamo e li paghiamo, alimentandoli con le nostre speranze individualistiche e di quattro soldi.
HangingRock (blogger momentaneamente dispersa)*
[*non si trova ahimè più traccia di gattipazzi.splinder.com]
giovedì 10 maggio 2012
Tris
Ciao
fior di mani
naso tondo mondo
occhi per me
luce di mamma
ciao.
Dove sei stato
per quell’altro tempo
in quali astri
hai brillato l’attesa?
Raccontaci:
abbiamo un intero terzo giro
perché tu ci possa insegnare.
Sei qui per il nostro tutto?
Sarai grande quando curveremo?
Benvenuto:
accomodati tra me e lei,
ti si offre il mignolo:
stringilo forte
perché ora si inchina il sole
il bosco ti osserva dal cielo
la grotta ha un sussulto
la ruota del presepe risuona
le babbucce raccontano la strada
e la via è illuminata a festa.
Respirarti
è un miracolo
che rinasce quotidiano.
Vieni,
andiamo.
Mikel (Sghembo)
Ciao
fior di mani
naso tondo mondo
occhi per me
luce di mamma
ciao.
Dove sei stato
per quell’altro tempo
in quali astri
hai brillato l’attesa?
Raccontaci:
abbiamo un intero terzo giro
perché tu ci possa insegnare.
Sei qui per il nostro tutto?
Sarai grande quando curveremo?
Benvenuto:
accomodati tra me e lei,
ti si offre il mignolo:
stringilo forte
perché ora si inchina il sole
il bosco ti osserva dal cielo
la grotta ha un sussulto
la ruota del presepe risuona
le babbucce raccontano la strada
e la via è illuminata a festa.
Respirarti
è un miracolo
che rinasce quotidiano.
Vieni,
andiamo.
Mikel (Sghembo)
domenica 29 aprile 2012
E ci tocca così far finta di nulla e riappropriarci della dignità mancante che poi è una delle principali responsabilità di un genitore: quella di non dare segni di assenza e di tenere sempre la luce accesa – la luce dentro di sé, in senso metaforico – perché non si sa mai, la paura del buio non si vince mai del tutto.
da continuità del servizio, di plus1gmt
da continuità del servizio, di plus1gmt
domenica 22 aprile 2012
Se fosse l'ultimo dei giorni, io penso, sarebbe un trionfo. Sarebbe il modo migliore per chiudere la porta e passare di là o dovunque si vada. Non è mancato niente e al tempo stesso non c'è stato nulla di troppo.
Poi il sonno imperla il profilo dei pensieri, che si perdono nell'incoscienza del riposo. A domani ci penserò. Di oggi sono grata.
Sabina
Poi il sonno imperla il profilo dei pensieri, che si perdono nell'incoscienza del riposo. A domani ci penserò. Di oggi sono grata.
Sabina
mercoledì 18 aprile 2012
Se esiste qualcosa,
tra quelle in cui il mio sguardo ama smarrirsi un po’,
è in una specie di mare, che di mare proprio non sa:
è nel verde nuovo delle colline percorse dal vento.
È, negli occhi, il vento che cammina nel grano.
Laura di Available in blue
tra quelle in cui il mio sguardo ama smarrirsi un po’,
è in una specie di mare, che di mare proprio non sa:
è nel verde nuovo delle colline percorse dal vento.
È, negli occhi, il vento che cammina nel grano.
Laura di Available in blue
martedì 10 aprile 2012
Leah Dieterich
Care Nuvole,
grazie per essere in grado di trasformarvi in tartarughe, grammofoni e qualsiasi altra cosa. Se riuscite a farlo pur essendo solo vapore acqueo, allora anch'io posso diventare tutto quel che voglio.
Leah
mercoledì 4 aprile 2012
Ho fumato l’ultima sigaretta alla finestra, il parco sotto casa è buio ma le sagome degli alberi sono ben definite dal chiarore del cielo anche se nuvole piene di promesse bagnate lo coprono un po’. C’è una leggera brezza e un silenzio che sembra un po’ magico. Si sente la primavera anche a quest’ora, è quasi mezzanotte e il sonno sembra in stand-by. Respiro profondamente, notti così sono dolci, ti fanno proprio voglia di respirarle tutte. Spengo e mio malgrado chiudo la finestra. Rientro nella mia piccola realtà di gesti e rituali e mentre mi lavo i denti improvvisamente visualizzo il mio fegato. Un brivido freddo mi attraversa il corpo nell’istante esatto in cui uno strano calore mi pervade il collo, credo sia paura.
nonsipuòmorireora
nonsipuòmorireora
mercoledì 28 marzo 2012
correzioni
If a source (such as a newspaper or web site) never publishes and erratum, you know they don't care much about how right they are.
Finding admissions and corrections of errors is a HUGE positive sign that the source is credible.mia traduzione a braccio
se una fonte (per esempio un quotidiano o un sito web) non pubblica mai un refuso, puoi scommettere che non gli interessa molto della correttezza di ciò che pubblicano
leggere di errata corrige, correzioni ed ammissione di errori è un ENORME segnale positivo che la fonte è credibile.
da qui
lunedì 26 marzo 2012
ve l'ho mai raccontato di quella volta che ho incontrato Max Gazzè all'autogrill e io guardavo lui e lui guardava me e io guardavo lui e lui guardava me e io guardavo lui e lui guardava me e dopo un po' gli ho detto "mi sa che ti conosco" e lui "eh mi sa anche a me" e io "sei mica un utente della biblioteca XXX?"
mastrangelina (su friendfeed)
mastrangelina (su friendfeed)
giovedì 22 marzo 2012
Essentially, all models are wrong, but some are useful.A favorite quote among statisticians.
— George E. P. Box, Empirical Model-Building and Response Surfaces, 1987
via flowingdata
Essenzialmente, tutti i modelli sono sbagliati, ma alcuni sono utili.
mercoledì 21 marzo 2012
Ritengo che i morti non appartengano più a sé stessi, ma a tutti quelli che rimangono. Anzi forse sono il bene più prezioso, uno dei pochi che sia giusto mostrare, perché il dolore di una perdita è la manifestazione di una storia che si imprime in un’altra storia e diventa potenzialmente infinita e immortale.
Totentanz
Totentanz
martedì 20 marzo 2012
Ho scelto di curare la mia anima perché il tempo non lo farà, il tempo non è vero che aggiusta le cose, siamo noi che le dobbiamo aggiustare.
Georgia
Georgia
venerdì 16 marzo 2012
costretto mio malgrado al ripasso di australopitechi e ominidi, sono tornato a chiedermi se il vero vantaggio evolutivo sia stato il pollice opponibile o l'uso del linguaggio, e ho elaborato una mia teoria:
questi, grazie al pollice opponibile, passavano le loro giornate a scheggiare pietroni (e già si può immaginare come gli girassero gli archetipici coglioni). statisticamente poi è molto probabile che detto pollice opponibile finisse in mezzo allo sbattimento. ecco, io colloco in quel punto l'esigenza espressiva alla base della nascita del linguaggio. e della religione, in un colpo solo.
- vic
questi, grazie al pollice opponibile, passavano le loro giornate a scheggiare pietroni (e già si può immaginare come gli girassero gli archetipici coglioni). statisticamente poi è molto probabile che detto pollice opponibile finisse in mezzo allo sbattimento. ecco, io colloco in quel punto l'esigenza espressiva alla base della nascita del linguaggio. e della religione, in un colpo solo.
- vic
sabato 3 marzo 2012
Respirare aglio, sudare aglio, pensare aglio, scrivere di cinesi che vengono dentro a una vampira per vedere se muore: muore.
Livefast
Livefast
mercoledì 29 febbraio 2012
martedì 21 febbraio 2012
Io a dieci anni sapevo tutti i sassi della strada davanti casa mia.
Bandini (nei commenti di Sphera)
Bandini (nei commenti di Sphera)
martedì 14 febbraio 2012
Ciao Mauro
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E non si muore così, non all'improvviso. Non che tre giorni fa mi commenti e poi sparisci. Chi lo ha conosciuto solo in rete, sa che Mauro Gasparini era un'intelligenza brillante e profonda. Chi lo ha conosciuto dal vivo e ci ha condiviso insieme iniziative, progetti, divertimenti, sa che era anche una persona per bene, molto dolce, disponibile all'ascolto, grande affabulatore. Io detesto gli addii, detesto usare facebook per questi scopi. Ma sono dispiaciutissima, ho un suo libro di racconti sul comodino, ho decine di mail, ho il ricordo di una serata a Torino in cui mi faceva da cuscinetto con Luigi Romolo Carrino con cui non smettevo di litigare. Ho siti che raccolgono i nostri racconti insieme. Non si fa così, Gaspari'.
Brunella Saccone (Flounder) su fb
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Souvenirs de la vie
testo di Mauro Gasparini, disegni di Rocco Lombardi
grazie a Isola Virtuale
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oggi Mauro se ne è andato, e io non ho avuto l’occasione di dirgli grazie. Lo faccio adesso.
Stark
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Ed ora che stava ottenendo quello per cui aveva lavorato trent’anni, ora che Garibaldi andava da Dio e che Veleno stava per avere un seguito, ora, cazzo, mica se ne doveva andare.
chiagia (Gianluca Chiappini)
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Confuso
teme sia troppo tardi per porgere un deferente e commosso saluto a un poeta veneziano, sosia gentile di Garibaldi.
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ciao.
dario
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Un sorriso in meno
Albamarina
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E non si muore così, non all'improvviso. Non che tre giorni fa mi commenti e poi sparisci. Chi lo ha conosciuto solo in rete, sa che Mauro Gasparini era un'intelligenza brillante e profonda. Chi lo ha conosciuto dal vivo e ci ha condiviso insieme iniziative, progetti, divertimenti, sa che era anche una persona per bene, molto dolce, disponibile all'ascolto, grande affabulatore. Io detesto gli addii, detesto usare facebook per questi scopi. Ma sono dispiaciutissima, ho un suo libro di racconti sul comodino, ho decine di mail, ho il ricordo di una serata a Torino in cui mi faceva da cuscinetto con Luigi Romolo Carrino con cui non smettevo di litigare. Ho siti che raccolgono i nostri racconti insieme. Non si fa così, Gaspari'.
Brunella Saccone (Flounder) su fb
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Souvenirs de la vie
testo di Mauro Gasparini, disegni di Rocco Lombardi
grazie a Isola Virtuale
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oggi Mauro se ne è andato, e io non ho avuto l’occasione di dirgli grazie. Lo faccio adesso.
Stark
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Ed ora che stava ottenendo quello per cui aveva lavorato trent’anni, ora che Garibaldi andava da Dio e che Veleno stava per avere un seguito, ora, cazzo, mica se ne doveva andare.
chiagia (Gianluca Chiappini)
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Confuso
teme sia troppo tardi per porgere un deferente e commosso saluto a un poeta veneziano, sosia gentile di Garibaldi.
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ciao.
dario
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Un sorriso in meno
Albamarina
mercoledì 1 febbraio 2012
Isola, tu sei un genio, sapèvilo. - Nervo
fosse così sarei impiegato alla regione come uscere - Isola Virtuale
(friendfeed, the day after)
fosse così sarei impiegato alla regione come uscere - Isola Virtuale
(friendfeed, the day after)
martedì 31 gennaio 2012
rido ai matrimoni, piango ai funerali, mi piace il caldo d'estate e la neve d'inverno. Si, sono strano :-D
- S.B. (su friendfeed)
- S.B. (su friendfeed)
lunedì 30 gennaio 2012
Quando un insegnante sa trasmettere la bellezza della sua materia, quando spiega facendo trapelare la passione per ciò che sta insegnando, contagiando gli studenti e spingendoli ad approfondire i concetti, allora non importa se gli strumenti in dotazione alla classe sono libri interattivi o un fascio di fotocopie in bianco e nero, a vincere sarà l’educazione e la conoscenza, non (soltanto) il mercato dell’editoria o un’azienda che costruisce dispositivi elettronici.
via koolinus di Riccardo Mori
via koolinus di Riccardo Mori
domenica 29 gennaio 2012
Il mondo si divide tra chi di scrive "ti chiamo tra poco" e ti chiama effettivamente dopo poco. E chi ritiene che "poco" sia una quantità di tempo tra i cazzi suoi e l'infinito.
RuMiKa
RuMiKa
mercoledì 25 gennaio 2012
la gente pensa di essere troppo stupida per capire come far funzionare il mondo, anche se non è vero.
(via rinomandarino)
(via rinomandarino)
lunedì 23 gennaio 2012
La tecnologia abilita il cambiamento, non lo genera: una persona che non ha niente da dire o da dare non diventa attiva e generosa solo perché può farlo.
Mafe De Baggis
Mafe De Baggis
domenica 22 gennaio 2012
“Caro Jim Carrey < ... > Io, qualsiasi cosa succedesse, non mi metterei mai contro di te, perché come nel tuo film (un’impresa da Dio – N.d.R) potresti farmi uscire una scimmia dal sedere e questa è una cosa che nella vita non vorrei mai provare”
Da “Scrivi una lettera ad un personaggio famoso che per te rappresenta un mito” – Tema di verifica di Italiano – Figlio di MaiMaturo, 2^ Media.
Da “Scrivi una lettera ad un personaggio famoso che per te rappresenta un mito” – Tema di verifica di Italiano – Figlio di MaiMaturo, 2^ Media.
domenica 15 gennaio 2012
Das Wort ist ein Fächer! Zwischen den Stäben
Blicken ein Paar schöne Augen hervor;
Der Fächer ist nur ein lieblicher Flor;
Er verdeckt mir zwar das Gesicht,
Aber das Mädchen verbirgt er nicht,
Weil das Schönste, was sie besitzt,
Das Auge, mir in's Auge blitzt.
La parola è un ventaglio! Fra le stecche
balenano un istante due begli occhi.
Il ventaglio non è che un velo amabile
che, certo, mi nasconde la sua faccia
senza dissimularmi la ragazza,
perché la cosa sua più bella, gli occhi,
mi riguardano diritti dentro agli occhi.
da Wink, J.W. Goethe (in West-östlicher Divan)
(traduzione di Ludovica Koch)
cit. da Zoe
Blicken ein Paar schöne Augen hervor;
Der Fächer ist nur ein lieblicher Flor;
Er verdeckt mir zwar das Gesicht,
Aber das Mädchen verbirgt er nicht,
Weil das Schönste, was sie besitzt,
Das Auge, mir in's Auge blitzt.
La parola è un ventaglio! Fra le stecche
balenano un istante due begli occhi.
Il ventaglio non è che un velo amabile
che, certo, mi nasconde la sua faccia
senza dissimularmi la ragazza,
perché la cosa sua più bella, gli occhi,
mi riguardano diritti dentro agli occhi.
da Wink, J.W. Goethe (in West-östlicher Divan)
(traduzione di Ludovica Koch)
cit. da Zoe
martedì 10 gennaio 2012
Si è spento sole, chi esso ha spento sei tu.
Io non ha spento sole, Mingioliano Krainer.
Esso è semplicemente va giù dietro di monte.
Domani esso ritorna in tua vita sbrindola.
Mio nome è Marilia Bubic.
Zerco marito.
Esso è lavoro di pazienza.
Saluto.
Io non ha spento sole, Mingioliano Krainer.
Esso è semplicemente va giù dietro di monte.
Domani esso ritorna in tua vita sbrindola.
Mio nome è Marilia Bubic.
Zerco marito.
Esso è lavoro di pazienza.
Saluto.
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