MINDSCAPES
Il tempo era infinito in quei pomeriggi di sole e sassaiole.
Eravamo bande di ragazzini, divisi dal dialetto che parlavamo.
Piccoli guerrieri di un esercito di sbandati, che vivevano in una città non ancora nata, solo abbozzata, dove più che uomini abitavano topi.
I cantieri a cielo aperto, e gli scavi, erano un richiamo troppo forte per noi che aspettavamo finissero di lavorare gli operai per farne trincee. Si giocava con quello che c’era. E quello che c’era era terra smossa e sassi da tirare da una buca all’altra, alla cieca; sassi da schivare quando ti arrivavano addosso.
La sera portava la tregua al vociare delle madri che ci chiamavano gridando il nostro nome; e il correre veloce dei ratti che si erano tenuti lontani da noi per tutto il tempo.
I lividi erano medaglie; chi beccava più sassate era il più coraggioso perché voleva dire che per scagliare la sua pietra si era sporto dalla buca, un bersaglio facile per i cecchini avversari.
Andrea aveva tanti lividi.
Li aveva anche prima che cominciasse la sassaiola.
Lividi lunghi, sulle braccia scoperte, sulle gambe magre dentro pantaloni corti di tela leggera. Lividi diversi da quelli tondi che lasciavano i sassi, ma se alla fine del giorno glieli contavi, quelli tondi superavano sempre di numero gli altri.
Sembrava voler nascondere le botte che prendeva a casa con quelle che cercava fuori.
Se solo ci penso... aveva certe bozzi in testa che li vedevi spuntare dai capelli tagliati corti per via dei pidocchi.
Andrea abitava nel mio palazzo, e non avevi bisogno di guardare fuori per capire quando suo padre tornava.
Lo sentivi dai passi strascicati, dalla sua voce impastata che chiamava sua moglie mentre sembrava volesse tirare giù a pugni la porta di casa.
E poi le grida, le bestemmie i piatti tirati sul muro. E all’improvviso tutto questo finiva.
Restava un pianto sommesso e la voce di Andrea che cercava di calmare la madre.
Il mattino dopo lui avrebbe avuto nuovi lividi, da coprire di gloria nella prossima sassaiola.
Non abbiamo mai parlato di quello che accadeva in quella casa, ma vedevi che gli occhi gli scappavano via, almeno quelli.
Perché lui non poteva andarsene, non poteva lasciare sua madre sola con un padre così.
Sono passati tanti anni, ormai il tempo non è più infinito
Ora Andrea si è sposato, ha un lavoro, due figli che adora. Non ha mai bevuto altro che non fosse acqua.
Suo padre se lo è portato via la vita che si era disegnato, provvisoria, breve.
Sua madre ha vissuto una vecchiaia finalmente serena.
Alle volte lo vedo ancora, e scherzando gli passo la mano tra i pochi capelli che gli sono rimasti.
I bozzi ci sono ancora, ma bisogna cercarli per trovarli; come sbiadite medaglie di una guerra vinta.
.: remote
(per SEGNALE ORARIO [Gli Orologi di Everton])
[con adeguata colonna sonora: Suzanne Vega, Luka]
Iscriviti a:
Post (Atom)